Palazzo storici, epidemia di bende architettoniche per coprire il degrado: affidiamoci a “Christo”

Ormai da tempo il centro storico della città di Messina è oggetto di un diffuso contenimento del degrado degli involucri architettonici attraverso l’impacchettamento di elementi che collassano per vetustà e mancanza di efficaci interventi di restauro.

La percezione del paesaggio urbano è simile a quello di una corsia di un reparto ortopedico inflazionato di bendaggi e ingessature paralizzanti. Questi impacchettamenti ci restituiscono in maniera lampante l’idea dell’impotenza e dell’incapacità di risolvere l’annoso problema del restauro dei palazzi storici e del loro degrado materico. Il Centro Storico sta diventando come il salotto di quei blasonati, caduti in disgrazia, che coprono i divani cadenti e la tappezzeria frustra facendo largo uso di dozzinali lenzuola e foulard.

Passeggiando per la città, colti all’improvviso da questa epidemia di bende architettoniche, ci si chiede se non si tratti di una installazione artistica.  Di una nuova esperienza espressiva d’avanguardia. Un’Arte Concettuale che nega l’architettura impacchettando pietosamente il suo degradare.

La “Concept Art” o “Conceptual Art”, Arte Concettuale si sviluppa agli inizi degli anni sessanta del secolo scorso grazie ad una serie di opere che hanno scardinato radicalmente il concetto convenzionale di arte, secolarizzando l’opera e il pensiero di Marcel Duchamp: “Sono interessato alle idee, non solo ai prodotti visivi”, il primo che concepì l’opera d’arte come un esercizio filosofico. La sua “Fontana” del 1917 rappresenta un elemento palingenetico per l’Arte Concettuale.

Si tratta di un movimento artistico che non si connota con uno stile unitario ma raccoglie in sé svariate espressività che declinano gli stessi concetti filosofici e gli stessi impulsi culturali. Un’arte che esprime pienamente la struttura di senso indicata da Albert Camus che chiedeva all’arte di “darci l’ultima prospettiva della rivolta” e si colloca nella dimensione etica fissata da Engels e Marx, secondo i quali l’artista non può essere culturalmente e socialmente disimpegnato.

Questo movimento ha sviluppato al suo interno una serie di correnti, tra queste la “Land Art”, detta anche “Earth art” o “Arte ecologica”, la cui concezione nasce dal bisogno di recuperare tutti gli equilibri e le bellezze perduti nelle dimensioni a grande scala del paesaggio naturale e di quello urbano, nascondendo gli insulti che l’uomo riserva a questi contesti. E’ un’“Arte Sostenibile” che si esprime attraverso installazioni che modificano la visione urbana, o del paesaggio, evidenziandone gli squilibri.

Esponenti di spicco di questa corrente sono, senza dubbio, i coniugi Christo Yavachev e Jeanne-Claude Denat de Guillebon (recentemente scomparsa), che operano sotto il semplice pseudonimo di “Christo”. Celebri per la singolare capacità di impacchettare palazzi, monumenti e strutture urbane.

Il senso dell’espressività artistica di “Christo” è quella di denunciare e combattere l’abbandono architettonico dovuto all’incapacità politica di riabilitare, riusare e risolvere il degrado urbano nella maniera più idonea ed efficacie. Quella inspiegabile incapacità di adottare le soluzioni più ovvie per riqualificare architetture e città.

Famosa la loro provocazione a Berlino nel 1995 quando dopo 25 anni di progetti, ipotesi di riuso, dibattiti e pastoie burocratiche, avvalendosi di una squadra di 90 arrampicatori e 120 operai impacchettarono con un imballaggio argenteo il Palazzo del Reichstag uno dei simboli dell’identità tedesca che da tempo versava in condizioni di degrado. La provocazione attirò l’attenzione mondiale e di colpo fu rimossa tutta la vischiosità politica ed amministrativa che teneva in stallo il monumento restituendolo alla sua originale bellezza e ad una nuova e strategica funzione urbana.

In precedenza, nel 1968, a Berna, avevano impacchettato l’abbandonato museo d’arte Kunsthalle, a Milano nel 1970 il Monumento a Vittorio Emanuele II a piazza Duomo e nel 1974 avvolsero Porta Pinciana a Roma. Nel 1985 crearono scalpore con l’imballaggio di Pont Neuf a Parigi, impacchettato con un telo di poliestere giallo ocra. Ora, il solo Christo Yavachev, si sta apprestando ad imballare l’Arco di Trionfo a Parigi, mentre in Italia prepara l’incartamento di Palazzo delle Albere a Trento, dopo aver imballato una passerella sul Lago d’Iseo nel 2016.

L’efficacia delle sue opere sta nell’improvvisa sottrazione alla vista dell’oggetto architettonico degradato al quale fornisce una momentanea dignità artistica che automaticamente mette in risalto il valore culturale dell’opera sottratta e ne denuncia lo stato di gravità in cui versa.

Gli interventi di “Christo” hanno un forte contenuto etico e morale e un marcato impegno civile.

Sulle prime l’installazione appare un insulto, una deturpazione del contesto, poi man mano si percepisce che si tratta di un’azione di pietas che attiva un processo di sanificazione. Del resto bendare le ferite è il primo atto per risanarle, per proteggerle dalla cancrena, in attesa che guariscano.

Nascondere la bellezza violata dal degrado, dissimulare l’abbandono, impacchettare il prosaico interesse che la conduce all’oblio, è per “Christo” un atto di ribellione civile e una questione di dignità sociale. Un gesto pudico che nasconde e al tempo stesso denuncia, richiamando l’attenzione di chi non vuol vedere o non ha visto. Effimere e stimolanti vere opere d’arte che si rivelano efficaci attraverso il loro intrinseco paradosso: svelano la verità nascondendola. Nascondono il degrado per accelerare i tempi della sua risoluzione e pongono, con clamore, la questione nel dibattito pubblico fino a quando le architetture trattate non torneranno alla loro bellezza originale e riprenderanno ad avere un’efficace funzione.

Questa è la struttura di senso, il “concetto” dell’arte di “Christo”.

Perché non affidare i palazzi del Centro Storico di Messina, che urgono di un Piano di Recupero efficace e di una speciale Carta del Restauro, a “Christo” ?  Visto che cadono a pezzi, gli sarebbe evitata la mortificazione di ambire a qualche mano pietosa che provvede rassegnata a bendargli le ferite, perché altro non può fare.

I bendaggi praticati ai palazzi storici messinesi sono la metafora lampante di un problema che invece di essere risolto si sta mummificando. Sono il significante di una mancata attenzione all’estetica cittadina da parte di tutti.  Sono l’estetica delle carte apposto applicata all’architettura. Degrado, abbandono, pericolo, alle nostre latitudini non servono come stimolo per trovare soluzioni risolutive bensì da palcoscenico di un estenuante balletto fatto di schermaglie tra privati ed enti pubblici, tra ingiunzioni e ricorsi al TAR, alla ricerca di un espediente che solleva tutti dalle responsabilità: ed ecco che si spiega il bendaggio!

 

Se dobbiamo continuare a impacchettare la città, impacchettiamola bene, diamogli un senso, chiamiamo “Cristo”, così ci evitiamo anche lo scempio del “cancellauro” di cui abbiamo accennato in altre occasione.

Del resto una mummia, da vedere, è meglio di un cadavere putrebondo. Il suo essere amorfo nasconde le mostruosità del cadavere e al tempo stesso avverte della presenza della morte.

Potrebbe essere quel rimedio estremo che determina una rinascita a nuova vita. Un nuovo senso, dopo la tragedia. Il termine di una resilienza estetica estrema. L’ultima prospettiva per porre l’attenzione sul Centro Storico.

Opere del genere sono poco costose e finalmente la città potrebbe vantare qualcosa di originale.

 

A settembre 2020 “Christo” impacchetterà l’Arco di Trionfo a Parigi. Nel 2021 potrebbe impacchettare il Centro Storico di Messina.

 

Carmelo Celona

09/05/2020