la chiesa fortezza

Con la Chiesa di S. Pietro e Paolo d’Agrò di Casalvecchio completiamo il percorso evolutivo di quelle opere che sono le matrici dell’Architettura Arabo Siculo Normanna. Opere che sono il significante dell’inizio di un percorso che afferma uno dei domini militari e culturali che più di altri hanno segnato l’identità dell’isola. Un processo che ebbe inizio nella Valdemone con la bellezza dell’idea originale della “Chiesa di S. Maria di Mili” fino a giungere alla bellezza del prototipo perfetto della “Chiesa S. Pietro e Paolo ad Itala”, per sublimarsi infine nella “Chiesa di S. Pietro e Paolo d’Agrò” di cui qui tratteremo.

Il complesso monasteriale fu eretto per volontà del Conte Ruggero, nel 1117 sulla vestigia di un antica struttura monastica bizantina distrutta dagli arabi, risalente al VI secolo d.c. .

L’abazia venne affidata ai monaci di frate Gerasimo, figura centrale della politica di latinizzazione dell’isola. Il carismatico monaco bizantino, calabrese, convertitosi alla chiesa di Roma, fu l’artefice del passaggio dei monaci dal millenario rito greco-ortodosso a quello romano-latino sotto l’egida di Ruggero I. Fu così che i basiliani divennero monaci latini.

L’arguto frate riuscì a farsi attribuire dal Conte Ruggero, nel diploma di donazione dell’abazia, alcuni favori, insoliti per un pio monastero, veri e propri privilegi aristocratici. L’Abazia fu dichiarata proprietaria dell’intero abitato di Vicum Agrillae  (attuale Forza d’Agrò), di un estesissimo latifondo e titolare delle decime su tutto quanto si produceva nel contado. Tra i singolari privilegi attribuiti a questa speciale abazia si annota l’emissione di un editto specifico con il quale il Conte normanno, imponeva alla Tonnara di Oliveri di fornire ai monaci otto barili l’anno del suo pregiatissimo tonno.

Il monastero era esente dal pagamento delle tasse e l’Abate godeva di una sorta di “Mero e Misto Imperio”, che gli attribuiva la competenza di esercitare il diritto di foro. Egli era giudice di ogni controversa è aveva la facoltà di condannare ai ceppi, di imporre torture e flagellazioni.  Non poteva solo emanare pene di morte, queste restavano a capo della Curia Regale. l’Abate del Monastero dei S.S. Pietro e Paolo d’Agrò, grazie alla Apostolica Legazia, era una figura sovrapponibile ad un barone normanno.

All’interno del complesso monasteriale spicca la chiesa abaziale. Un edificio di culto inedito, che aveva l’imponente aspetto di una costruzione fortificata. Il suo coronamento di merli riferisce con chiarezza che essa fu concepita per assolvere anche funzioni di difesa, era un’Ecclesia Munita.

Il tempio fu attinto, dopo poco tempo, nel 1162, da un fortissimo terremoto che ne impose un restauro. Così ci giunge notizia dell’intervento di un architetto normanno, capomastro/edificator, Gherardo il Franco che ne eseguì il recupero nel 1172.

L’involucro si misura in modo sorprendente con il tema degli archi incrociati già sviluppato nella chiesa di S. Pietro e Paolo d’Itala, declinandolo in maniera trionfante. Gli archi impostati su esili lesene sviluppano un ritmo ancor più fitto. Il loro andamento incessante è dato da una pregevole composizione policroma dovuta al sapiente impiego, alternato, di mattoni in cotto, pietre laviche (di provenienza etnea) e pietra serena locale. Tutto declinato in un linguaggio che esprime una perfetta sintesi degli stili che caratterizzano l’intero organismo architettonico: bizantino, arabo e romanico (normano).

L’ingrediente bizantino si individua nella tessitura dei mattoni ornati a spina-pesce e a zig-zag, nelle esili lesene, nella policromia di membrature e superfici e per finire, a scanso di equivoci, nella croce di tipo bizantino incisa nella lunetta che sovrasta il portale d’ingresso.

L’ingrediente arabo è espresso nella curvatura delle membrature e nei loro incroci, e soprattutto nell’articolazione volumetrica, realizzata con uno schietto assembramento di solidi regolari. Una rigidità geometrica che estrude dal suo profilo solo le absidi minori e le cupole finestrate che danno luce alla navata centrale, di cui la più grande presenta una rarissima struttura a spicchi.

L’ingrediente Normanno caratterizza la pianta a tre navate, il piccolo nartece d’ingresso  e  l’austerità assoluta dell’interno e delle sue superfici facendo emergere un esaltante gioco dii mattoni che consente di indagare la purezza dell’abilità muratoria nella realizzazione delle cupole, a tutt’oggi insuperata.

 

La Chiesa dell’abbazia di San Pietro e Paolo d’Agrò a Casalvecchio è un’opera d’arte che con la sua ansiosa e ritmica policromia interpretata in modo marziale, si impone come una delle architetture più importanti di tutta la Sicilia, non solo normanna.

Con il suo atteggiamento ieratico esprime con chiarezza quali furono a quel tempo i rapporti di forza tra la Chiesa di Roma, ovunque imperante, e i suoi emissari conquistatori. Essa fa emergere senza equivoci un potere temporale, quello dei normanni, al quale il Papa dovette gioco forza arrendersi.

A volte una forza laica determinata può trionfare sul potere spirituale delle chiese e produrre  bellezze altre.

 

Carmelo Celona

08.03/2020

 

Casalvecchio, misteri e tesori tra i muri del monastero-fortezza di San Pietro e Paolo – Blog (messinatoday.it)