Località Ritiro a Messina
(Area urbana a monte e a valle dell’incrocio tra il Torrente Giostra con il Torrente S. Michele, oggi Torrente Badiazza)
Dove l’affluente Badiazza si versa nel corso del torrente Giostra e si forma come una Y di terra lambita dai dalle acque dei due, si trova la località Ritiro. In origine luogo di lussureggianti pinete.
Nel punto in cui i due fiumi diventano uno e compiono insieme la loro discesa verso il mare, si trovava una di queste pinete, la più ampia e meno acclive, ma al tempo stesso la più difficile da raggiungere, poiché per arrivarci bisognava guadare il fiume.
Fu qui che psichiatra Lorenzo Mandalari, nel 1897, realizzò, la “Villa di Salute”: un manicomio privato maschile e femminile.
Luogo molto ritirato. Si accedeva dalla via Palermo, entrando in un grande parco, attraversato il quale si giungeva in riva al fiume dove c’era una zona di orti chiamata “colonia agraria”, da questa si giungeva ai padiglioni e alle cliniche del manicomio attraverso un piccolo ponticello, unica via da e per l’esterno.
Così i pazienti venivano strategicamente sottratti da qualsiasi contatto con il mondo: ritirati. Così questo luogo nell’immaginario collettivo divenne il Ritiro: quel posto dove si ritiravano i malati di mente.
Oggi, retrospettivamente possiamo dire che fu un luogo di sofferenza dove si praticavano i protocolli lombrosiani. Dove vennero internati migliaia di disadattati, di povera gente, di persone fuori dagli schemi, di semplici malati che venivano annientati nella volontà. Luogo dove vennero reclusi centinaia di dissidenti politici e molti anarchici, tra i quali Antonino Puglisi “Il Libertario dei Nebrodi”, uno del famoso gruppo degli anarchici di Librizzi (Leo Giancola, Francesco Martino, ed altri) che vi morì dopo essere stato sottoposto all’ennesima terapia elettroconvulsiva, la pratica medica inventata da Ugo Cerletti, l’elettroshock.
Ugo Cerletti, il neurologo italiano che applicò per primo il sistema terapeutico elettroconvulsivante comunemente chiamato “elettroshock”, così sostanzia gli argomenti a sostegno dell’efficacia della sua terapia: “Sono andato all’ammazzatoio per osservare questa – macellazione elettrica- e ho visto che ai suini sono applicate grosse pinze metalliche sulle tempie, poi collegate alla corrente elettrica. Appena applicate le pinze gli animali hanno perso conoscenza, si sono irrigiditi, e poi, dopo qualche secondo sono stati scossi da convulsioni, non diversamente dai nostri cani da laboratorio. In questa fase d’incoscienza (come epilettico) il macellaio ha potuto pugnalare e dissanguare gli animali senza difficoltà.”
Lorenzo Mandalari fu un’esponente di spicco della psichiatria italiana dell’epoca, calabrese, di Melito Porto Salvo, classe 1855, finito a Messina per motivi sentimentali, fu allievo del antropologo e frenologo positivista Ezechia Lombroso conosciuto come Cesare. Mandalari scrisse il manuale di psichiatria “Degenerazioni nella pazzia e nella criminalità: classificazione di una miscellanea criminale”. Morì vittima del terremoto del 1908. Il suo manicomio nel 1928 diventerà Ospedale Psichiatrico Lorenzo Mandalari.
Ancora negli archivi del nosocomio, intanto passato in mano pubblica e oggi sede di un presidio sanitario territoriale raccoglie 31 perizie su soggetti imputati di reati gravi contro la persona utilizzando metodologie ufficiali del tempo e ispirandosi al modello lombrosiano.
Divide i malati in due categorie a loro volte suddivise in quattro: delinquenti degenerati e non degenerati (sadista assassino, omicida selvaggio e a tinta politica, patricida, tipo di squilibrato ladro camorrista e buffone, imbecille moale freddo, erotomane, matricida paranoide, donna cirminale pazza, paranoici, brigante persecutore transitorio ecc…) Per ogni scheda storia del malato, anamnesi, esame obiettivo, diagnosi.
Dopo il 1908, l’area viene indicata dal Piano Borzì come area di riserva dove allontanare, ritirare, appartare, i nuovi impresentabili, i sinistrati: quei messinesi caduti in disgrazia a causa del tragedia del 28 dicembre a cui lo Stato non aveva voluto dare alcun genere di aiuto, anzi aveva praticato loro uno dei primi esempi di shock economy, per restare in tema.
Nel 1937 in quell’area dove si forma la forcella della Y di cui sopra, circondata da due fiumi con alle spalle un alto promontorio, in condizioni di perfetto isolamento, venne realizzato l’ultimo dei quartieri ultra popolari con 117 casette. Una sorta di isolotto affollato collegata con la terra ferma solo da un ponticello, come il manicomio.
Un gruppo affollato di casette, senza servizi pubblici, che occupavano densamente tutta l’area. Unità abitative del tutto insufficienti alle impellenti necessità degli abitanti insediati, che aspettavano da quasi vent’anni che gli venisse riconosciuto il diritto alla casa, e del tutto incompatibili con l’attività umana. Molte di queste erano cellule abitative costituite da un solo vano “pluriuso” di 25,00 mq, con un cesso di un metro quadrato e un angolo cottura di m. 1,50 x 1,50. In queste condizioni si è scatenato ogni tipo di promiscuità igienica, civile e morale.
L’area oggi vige in un degrado allarmante ed è in attesa di “Risanamento” da 1990. la copertura del torrente Giostra da tempo l’ha messa in diretto contatto con la città facendo emergere tutta la sua tragica evoluzione. Ora sta lì in bella mostra, proprio all’uscita del nuovo svincolo autostradale, come un biglietto da visita.
Il toponimo Ritiro è un crudele eufemismo. Non è stato un posto appartato ma un posto di reclusione, di Apartheid.
Carmelo Celona
13.10.2019
Perché i luoghi di Messina si chiamano così: Ritiro (letteraemme.it)