Le coste siciliane: analisi retrospettiva di un vincolo che ha generato una grave eterogenesi dei fini
Le coste siciliane
(Analisi retrospettiva di un vincolo che ha generato una grave eterogenesi dei fini)
Mi mette a disagio la sottrazione di bellezza compiuta a discapito del paesaggio siciliano e della costa in particolare da parte di una feroce e dilagante edilizia, non solo abusiva. Un’edilizia fatta in fretta, disarmonica espressione di un pragmatismo progettuale e un prosaicismo esecutivo oggettivamente irritante. Espressione di un’insensibilità verso il paesaggio, verso il contesto ambientale. Un insulto all’integrità ecologica e fascino di un paesaggio un tempo unico ed integro.
La fascia costiera in Sicilia è quello che tecnicamente i paesaggisti chiamano: “paesaggio lineare”. I 1091 km di costa sono un “paesaggio lineare” di incommensurabile bellezza e notevole valore culturale. Dal punto di vista paesaggistico Il “paesaggio lineare” non è una linea astratta, né un vettore geometrico. Il “paesaggio lineare” è un contesto che si sviluppa, senza soluzione di continuità, esibendo una reale grandezza fisica, di notevole valore ecologico, naturalistico o antropico, lungo una linea o un margine di demarcazione che svolge una funzione territoriale, esempio: un fiume, il limite di un bosco, di una pianura, una falesia, una costa. Elementi che per la loro marcata caratterizzazione del territorio posso assolvere il ruolo di elementi di rigenerazione territoriale. Assi attorno ai quali strutturare strategiche pianificazioni territoriali sostenibili che avviino processi sociali, economici e culturali virtuosi. La costa siciliana da sempre ha assunto il ruolo di margine, di bordo di quella metafora che è la Sicilia. Il confine di un arcipelago culturale che è stato è sarà sempre soglia, confine, approdo, linea di partenza. Un margine che non è una semplice linea di demarcazione tra un elemento solido (la terra), e un elemento liquido (il mare), come accade nelle comuni località rivierasche. La costa siciliana è un margine su cui sono avvenuti millanta sbarchi, di infinite occupazioni. Un bordo dal quale ha avuto inizio e fine ogni civiltà, ogni conquista, ognuno dei poteri che nell’isola si sono susseguiti, combattuti e che ancora si susseguono e si combattono. La costa siciliana è un elemento impalpabile che separa la Storia dal Mito.
Lungo le coste della Sicilia vige un vincolo a tutela dell’integrità paesaggistica e ambientale che risale al 1976 (art.15 L.R. 78/76 e tutta la barbarie di successive modifiche e integrazioni, circolari esplicative – che non esplicano nulla-, ecc..). Un vincolo che impone l’inedificabilità assoluta lungo una fascia di costa profonda 150 metri, misurati dalla linea (sempre mutevole) della battigia. Fascia di rispetto di analoga profondità vale anche per le rive dei fiumi e dei laghi, per i margini dei boschi e per le aree prossime ai parchi archeologici. Una disciplina sacrosanta, la cui ontologia è senza dubbio la tutela di queste bellezze e della loro integrità ed unicità ecologica, naturale, paesaggistica, artistica e culturale. Ma Oggi, a quarant’anni dall’entrata in vigore di quel regime di tutela, purtroppo, ci tocca constatare, senza timore di essere smentiti, che l’inedificabilità assoluta prevista dalla norma si è trasformata, nella maggioranza dei casi, in una paralisi assoluta. L’attività di gestione del vincolo non ha attivato alcuna azione di valorizzazione, fruizione e promozione di quelle bellezze costiere che la legge stessa intendeva tutelare. Rare sono state le azioni finalizzate a promuovere, per tempo, opportuni piani di sviluppo paesaggistico, piani attuativi per la valorizzazione delle coste e delle spiagge. Ormai possiamo affermare che le coste siciliane, veri e propri, giacimenti culturali, sono stati lasciati al loro destino, senza alcuna progettualità finalizzata a generare un equilibrato sviluppo territoriale sostenibile basato sulla necessità di valorizzare, promuovere e fruire le bellezze vincolate, rispondendo alle reali e ineludibili istanze antropiche con strategie di governo del territorio programmate per attivare nuovi equilibri ecologici, rafforzare quelli esistenti e recuperare quelli perduti. Strategie di pianificazione capaci di avviare uno sviluppo territoriale sostenibile che determinasse equità sociale, integrità ecologica naturale e formale, che valorizzasse l’unicità culturale di queste bellezze e producesse una strutturata efficienza economica. Il vincolo ope legis (art.15 L.R. 78/76) si è trasformato di fatto in una fatale eterogenesi dei fini. L’azione di tutela (non vi è tutela senza azione) si è trasformata in una immobilità che invece di migliorare le condizioni delle bellezze d’insieme vincolate, in moltissimi casi, ne ha decretato l’inesorabile declino. Lo status quo ci fa pensare che in certi casi sarebbe stato meglio una contaminazione viva del paesaggio che un’integrità morta. Pastoie burocratiche e rigidità valutative, hanno bloccato anche le soluzioni virtuose facendo sì che in questa paralisi germogliassero, gioco forza, processi di gestione deformati, che approfittando di ritardi, occhi di riguardo, incertezze interpretative, eccessivi formalismi, autorità senza sensibilità e competenza che o favoriscono o inibiscono, hanno avvantaggiato il torbido pantano del clientelismo e delle speculazioni. Questi atteggiamenti hanno reso le coste una terra di nessuno. La cui gestione ordinaria è stata demandata a norme e leggi di ordine generale incapaci di governare le peculiarità e le specificità di ognuno di questi preziosi beni. Piani paesaggistici redatti con troppo ritardo, di cui molti ancora in fase di approvazione, comuni che non hanno redatto piani specifici di gestione delle coste, e delle aree speciali, P.R.G. che nella maggioranza dei casi si sono limitati a riportare la perimetrazione del vincolo all’interno del Piano stesso rimandando la loro disciplina a futuri, quanto improbabili piani attuativi, senza predisporre indirizzi specifici di complementarietà territoriale tra i suoli disciplinati e quelli stralciati a causa del vincolo.
Dopo quarant’anni di vincolo e tutela, le coste sono vere e proprie terre straniere totalmente inflazionate dalla presenza endemica di case abusive, quasi sempre incomplete, e di case regolari che esprimono linguaggi decontestualizzati turbando fortemente il paesaggio costiero. Le coste della Sicilia sono nella migliore delle ipotesi abbandonate a sé stesse, al degrado, impraticabili e devastate da grandi operazioni legittime ma del tutto inopportune, evidente espressione di momenti in cui democrazia e legalità sono state sospese. Un vincolo che paralizza un territorio è innaturale come una imposizione di castità, dunque non può che far aumentare morbosamente il desiderio della trasgressione e nutrire ogni latente perversione e ogni tipo di devianza. D’estate, nelle poche spiagge dove è possibile una fruizione turistica e balneare della costa, impera una straripante quantità di lidi e strutture turistico/recettive improvvisati, senza logica e senso estetico, precari, posticci e disorganici. Risultato finale: degrado d’estate e abbandono d’inverno.
Quando nella fascia di 150 metri dalla battigia vediamo una villa o una costruzione quella o è stata costruita prima del 1976, quindi è un privilegio, o è stata realizzata abusivamente, quindi è una violazione di legge. Queste ultime si caratterizzano per la loro precarietà e sono l’estetica della fretta e dell’essenziale. Una terza ipotesi è costituita da una singolare fenomenologia: manufatti fatiscenti abbandonati, incompleti, scheletri di strutture incompiute, iniziate prima dell’entrata in vigore della legge con regolari licenze edilizie, che sono state revocate in corso d’opera. Strutture bloccate per attuare la legge che non sono state mai demolite per inefficienze procedurali. Infine un’ultima tipologia, gli “ecomostri”: costruzioni incongrue fortemente impattanti ma regolari, previste dagli strumenti urbanistici e approvate dalle autorità competenti, i cui lavori vengono sospesi in forza di vibrate proteste da parte di cittadini sensibili e di ambientalisti indignati, che per caso hanno trovato eco mediatico. Così i lavori vengono fermati e i permessi revocati causa impopolarità, della serie: “ci abbiamo provato”. Così le coste siciliane sono deturpate da scheletri da abbattere che le amministrazioni non hanno mai abbattuto, per inefficienza, per mancanza di mezzi, di fondi, per complicità clientelare, o perché nella maggioranza dei casi si sono aperti contenziosi legali infiniti, che nessuno degli attori ha interesse a concludere. Ecco come la gestione di un sacrosanto vincolo si è trasformata in una mera gestione di potere. Secondo il solito modo di amministrare la cosa pubblica: determinare scientemente disagi e bisogni, per catturare meglio e più facilmente il consenso. Questa è la forma mentis di chi fa le leggi e di chi le fa applicare.
Cosa bisogna fare? Riformare la materia è certo necessario. Ma come? Con quale categoria di pensiero? Con l’attuale mentalità riformista che in ogni circostanza genera solo e sempre perverse l’eterogenesi dei fini? Come le riforme per favorire il lavoro che tolgono il diritto al lavoro o le riforme della scuola che eliminano il diritto allo studio, ecc..
Per il recupero del paesaggio costiero in Sicilia serve una profonda riflessione sui concetti di valorizzazione, promozione, fruizione e tutela dei beni culturali. Necessita una visione strategica che guardi ad un progetto generale di riordino che risemantizzi questo inestimabile “paesaggio lineare”. Un Piano che preveda una sequenza di azioni materiali e immateriali che assumano efficaci ed efficienti funzioni di tutela, gestione e valorizzazione dei contesti. Una soluzione che abbia un disegno di grande scala che rafforzi le fragilità e le carenze infrastrutturali in modo da facilitare processi di fruizione armonica della costa, nella consapevolezza che una fruizione costante (affiancata da capillari politiche di promozione) fa anche da ”azione” di tutela. Insomma serve un nuovo paradigma, con il quale cominciare a riconsiderare e rileggere la costa siciliana come un “paesaggio lineare” da recuperare in termini di “connettività” e “contestualizzazione” rispetto agli altri elementi finitimi, il mare e l’entroterra. Servono nuove procedure vincolistiche che non siano vischiose e che abbiano carattere progettuale e gestionale. Bisogna cominciare a pensare di valorizzare e gestire altrimenti. Bisogna capire che riqualificare il margine della nostra isola significa anche ricostruire i bordi della nostra identità e riprendersi una buona parte dell’estetica perduta. Valorizzare i “paesaggi lineari” rappresenta sempre un’occasione per ricostruire un rinnovato senso estetico dei luoghi e un nuovo significato culturale sulle forme di ieri.
Se non si interviene questo margine posto tra la nostra Storia e i nostri Miti perderà per sempre il suo significante archetipo cronicizzandosi in quella che ormai è: una terra di nessuno, dove lo squallore è norma e il degrado è legge.
Carmelo Celona
15.10.2017