Fenomenologia dell’abusivismo edilizio: un mancato riconoscimento di diritti urbani

Mio nonno entrava nella mia stanzetta messa a soqquadro da un bambino abbastanza discolo ed esclamava: “E’ che è, una Casamicciola”. Io intuivo ma non capivo a cosa si riferisse, mi chiedevo cosa fosse questa Casamicciola. Casamicciola dalle nostre parti fu a luogo un luogo comune del disastro da terremoto. L’immaginario collettivo dei messinesi evidentemente fu molto colpito dal disastro che nel 1883 attinse la piccola cittadina ischitana, al punto da metaforizzarlo anche dopo il 1908 forse per esorcizzare la paura di un nuovo 1908, come si fa con quel male a cui non si nomina per scongiurarne la comparsa.

Oggi Casamicciola, come Licata torna a toccare le corde dell’emotività collettiva, per via dell’abusivismo edilizio che miete vittime: a muoiono due persone a Casamicciola per scarsa resistenza delle case “abusive” al regime sismico e a Licata cade un Sindaco per la scarsa resistenza delle case “abusive” alla democrazie. Viene sfiduciato dalla maggioranza del consiglio comunale dove alcuni suoi membri erano proprietare di case abusive che il sindaco aveva ordinato di abbattere.

La colpa di tutto è l’abusivismo edilizio!… ma siamo sicuri?

Lungi da me voler fare l’apologia dell’abusivismo edilizio, tutt’altro! Anche perché i morti sono veri e alla responsabilità morale di quei morti che voglio arrivare. Dunque muovo alcune considerazioni partendo dal principio che ogni storia ha tante versioni, almeno quanti sono i protagonistici che la fanno.

Il fenomeno dell’abusivismo è una lampante mancanza di riconoscimento di un diritto costituzionale: il diritto alla casa, la quale viene concepita dai padri costituenti come elemento essenziale per garantire lo sviluppo della persona umana ed è sancito dall’art. 47 della Carta costituzionale e in ripetute sentenze della Consulta.

Si tratta di un mancato diritto sul quale speculano tutti i soggetti che a vario titolo avrebbero il compito quello di garantire e riconoscere.

A scuola s’impara che il “Diritto” è un complesso sistema di norme che regola la vita dei membri di una comunità e risponde al bisogno dei cittadini di vivere in una società il più possibile ordinata e tranquilla. Una struttura normativa che garantisce rapporti equi tra gli individui e sanziona chi la viola. Si sente parlare con frequenza di: “diritto penale”, “diritto civile”, “diritto amministrativo”, “diritto tributario”, “diritto del lavoro”, ecc. Ormai è all’ordine del giorno persino di “diritto internazionale”.  Ma è raro sentir parlare di “Diritto Urbano”, che non è l’insieme di leggi in materia urbanistico-edilizia, o in materia di edilizia antisismica o ancora in materia di tutela del paesaggio, di beni culturali, di bellezze d’insieme, di tutela dei centri storici, ecc.  Il “Diritto Urbano” è: “Il riconoscimento pubblico ad una vita decente ad una socialità condivisa.”

Il “Diritto Urbano” consiste in quell’atteggiamento progettuale e strategico che dovrebbero assumere tutti gli strumenti urbanistici.  Considerato che nei loro contenuti ontologici ricorre spesso il verbo “pre–vedere”, che significa appunto, vedere prima, vedere in tempo, immaginare il meglio o ancora scongiurare il peggio. Si tratta di strumenti di pianificazione che contengono quelle che tecnicamente si chiamano: “previsioni di piano”. Grazie alle “pre-visoni di piano”, gli strumenti urbanistici possono attivare sul territorio e sulla comunità che lo abita processi territoriali virtuosi o processi perversi, viziati da scelte asimmetriche che discriminano alcuni settori sociali a vantaggio di altri.

Un progetto urbano altro non è che un programma di azioni concrete per dare forma al futuro sociale di una comunità, secondo una determina idea, secondo un ideale; ideale che può essere un ideale umanistico o l’esatto suo contrario. Ogni progetto urbano fa riferimento ad una categoria di pensiero precisa sui rapporti sociali.  Il filosofo e giurista tedesco Carl Schimitt sosteneva che “Non esistono idee politiche senza uno spazio cui siano riferibili, né spazi o principi spaziali cui non corrispondano idee politiche”. Un progetto territoriale incide in maniera determinante nella qualità dei rapporti sociali, sul tipo di società e sulla struttura sociale del territorio. Dunque un piano regolatore può essere uno strumento discriminatore. Un piano urbanistico è per il territorio come una terapia medica per un organismo umano. Deve guarire non ammalare o nella migliore delle ipotesi limitarsi a curare, somministrando soluzioni miopi. Quando questo accade è segno che il progetto si è piegato ad inconfessabili fini.

 

Ippocrate che aveva intuito benissimo l’influenza dell’ambiente sulla salute, fu il primo a parlare di qualità urbana come matrice di qualità della vita, difatti sosteneva: “alla natura dei luoghi si improntano sia l’aspetto, sia le caratteristiche degli uomini. Chi voglia correttamente condurre indagini mediche, in primo luogo deve studiare i luoghi e gli influssi che questi possono esercitare su chi li abita”.

Ogni Piano deve essere uno strumento di qualità: qualità civile, qualità sociale, qualità ambientale, qualità artistica. Ogni piano dovrebbe declinare quello che Jeremy Rifkin chiama “finalismo ecologico” e “finalismo sociale”.

Così i piani regolatori dovrebbero essere degli Strumenti Strategici che progettano diritti prima ancora di mettere vincoli e disciplinare in modo a volte arbitrario l’uso dei suoli, facendo di un strumento concepito nell’interesse generale un’arma nell’interesse di pochi singoli o di poche categorie sociali. Gli Strumenti urbanistici dovrebbero essere dei dispositivi finalizzati a garantire diritti, diritti non negoziabili come: il diritto alla mobilità urbana, a tutti, diritto alla salute, diritto all’istruzione, diritto al lavoro, diritto alla casa, diritto alla qualità della vita, e perché non anche il diritto alla felicità.

 

La loro attuazione deve produrre in maniera perequata ed automatica la modellazione di spazi destinate: all’abitazione (residenze per tutti), al lavoro (sviluppare le vocazioni del territorio e puntare alla piena occupazione di tutti i membri della comunità),  alla socializzazione (centri sociali, piazze, ecc..) , al tempo libero e al riposo (parchi, giardini, ecc..), per la cura (presidi sanitari, ospedali, ecc..), alla crescita culturale (cinema , teatri, librerie, ecc..), alla facilitazione degli spostamenti (sistemi di mobilità e trasporto pubblico, strade, ferrovie, stazioni, ecc..).  Sono strumenti possono favorire o inibire la distribuzione perequata delle risorse e delle opportunità che essi producono, come l’accesso al bene casa e il conseguente riconoscimento concreto del suo diritto. Del resto le città esistono da millenni in quanto luoghi di opportunità, diritti, lavoro, benessere e confort.

In merito al diritto alla casa, è lo strumento urbanistico che stabilisce: chi potrà accedervi, dando la possibilità a tutti (se soddisfa l’intero fabbisogno abitativo nel tempo) o favorendo pochi (se viceversa il P.R.G. è sottodimensionato e privilegia la proprietà fondiaria. In quel caso non ci saranno alloggi per tutti); come potrà venirne a disposizione, riconoscendo il diritto costituzionale alla casa facilitando l’acquisto o l’assegnazione di alloggi (quando lo strumento affronta il fabbisogno di alloggi prevedendo massicci interventi di edilizia residenziale pubblica) o negando il diritto costituzionale costringendo tutti i cittadini ad acquistare il bene casa con risorse proprie al libero mercato (concependo una disciplina dei suoli basata sulla rendita fondiaria magari sottodimensionata rispetto al fabbisogno reale, avvantaggiando l’edilizia residenziale privata a discapito di quella pubblica, favorendo la speculazione fondiaria e l’accumulo della proprietà di alloggi da parte di una minoranza di cittadini); dove potrà abitare se all’interno del tessuto urbano infrastrutturato e dotato di servizi (qualora il P.R.G. punta sulla realizzazione concreta di spazi e strutture urbane di qualità, efficienti) o nelle periferie degradate e deurbanizzate (se nel centro storico e nelle zone di valore prevede solo alloggi a libero mercato e consente il libero mutamento delle destinazioni degli immobili per fini direzionali e commerciali); a quale prezzo potrà avere il bene  se a prezzi compatibili con le possibilità economiche di tutti (prevedendo agevolazioni fiscali per tutti, edilizia sovvenzionata, agevolata, e convenzionata distribuita in modo equilibrato in tutto il territorio senza determinare i quartieri ghetto e i quartieri dormitorio) o a prezzo di libero mercato (esponendo il cittadino ad essere vittima di speculazioni bancarie e avvantaggiando la rendita fondiaria).

 

Senza voler fare l’apologia dell’abusivismo edilizio, tutt’altro!, ma partendo dalla considerazione che ogni storia tante versioni  almeno quanti sono i protagonistici che la fanno.

 

Il fenomeno dell’abusivismo, che si sviluppa in Italia nel tardo ultimo dopo guerra (guarda caso al fiorire dei nuovi strumenti urbanistici), è una lampante mancanza di riconoscimento di un diritto costituzionale: diritto alla casa. Su questa carenza speculano a vario titolo tutti i poteri che avrebbero come dovere quello di garantire questo diritto.

Il problema, come ogni problema ha un’unica soluzione. Come non esiste un esule volontario, come nessun migrante lascia la sua terra di sua sponte (diversamente lo chiameremmo turista o viaggiatore), così non esiste chi potendo costruire o ottenere la casa dei suoi bisogni, in modo legittimo e regolare (sia dal punto di vista tecnico che da quello amministrativo), si avventurerebbe a costruirne una abusiva, mettendosi in un mare di guai e di rischi.

Perché chi non ha una casa invece di comprarsela tra quelle già fatte o di costruirsela nelle zone edificabili, la costruisce nelle zone dove non è prevista dal P.R.G. la realizzazione di residenze? E perché se vuole avere la villa in campagna non se la costruisce nelle aree rurali destinate alla residenza rurale, invece di corrompere la continuità delle funzioni agricole nelle campagne? E perché se vuole avere una villa al mare non la costruisce nelle aree edificabili prossime al mare destinate specificatamente alla residenza turistico balneare e va a compromettere e stravolgere l’equilibrio ecologico pur sapendo che non potrà mai esser sanata e prima o poi verrà demolita? Sono tutti prepotenti e incivili? Può darsi!

Ma se questa ipotesi non regge allora c’è qualcosa che non va nella concezione degli strumenti urbanistici, nella loro gestione, nelle leggi dalle quali derivano, che invece di agevolare il rispetto delle regole ne istigano la trasgressione?  Perché se le leggi sono buone non vengono applicate? Perché la presunta efficienza di chi governa il territorio, lo controlla e lo gestisce, non riesce a far applicare le leggi e rispettare i dettati degli strumenti urbanistici? Forse perché chi fa le leggi, ormai da tempo le concepisce soltanto pro domo sua o nell’interesse di lobby, settori sociali specifici, a discapito di molti, favorendo feroci processi speculativi che determinano evidenti asimmetrie di trattamento sociale?

Se i piani regolatori contenessero il giusto dimensionamento affinché tutti i cittadini potessero accedere al bene casa, se a tutti venisse riconosciuto il diritto costituzionale di avere una casa, o in subordine avessero la possibilità legittima di costruirsi in proprio la casa e tutte le pertinenze che gli necessitano, chi ricorrerebbe all’abusivismo edilizio?

Chi si costruirebbe una casa abusiva se avesse la possibilità di averne una regolare? Con tutti i confort, sicura, igienica, ubicata in luoghi salubri e in zone urbane o extra urbane fornite di efficienti sistemi di trasporto pubblico, di servizi, di opere di urbanizzazione primaria e secondaria: come scuole di ogni ordine e grado, chiese, strutture e spazi per la socializzazione e per il tempo libero, presidi sanitari, impianti sportivi, immersi nel verde o vicini piazze, parchi e giardini?

Chi costruirebbe la sua casa abusiva in un territorio infrastrutturato in maniera efficiente ed efficace?  con un sistema viario capillare, una rete idrica efficiente, rete fognante, gas, cablaggio, etc. ?

Chi rischierebbe ingenti risorse economiche (in molti casi i risparmi di una vita)? chi accenderebbe mutui decennali o ventennali a tassi altissimi o contrarrebbe prestiti quasi usurai (facilitati dall’illegittimità delle operazioni edilizie), se avesse garantito l’accesso ad una casa comoda? In città o in zone della città attrezzate come sopra? Chi andrebbe a vivere, in zone non urbanizzate, rischiando di restare senza acqua, senza fognature (con i pozzi neri)? Chi andrebbe a vivere dove non arriva la rete del gas e per portarci l’energia elettrica si devono affrontare costi altissimi? Senza collegamenti stradali e in assoluta assenza di servizi di trasporto pubblico? Per la semplice ragione che si tratta di zone dove il piano regolatore non prevede attività residenziale? Chi andrebbe ad abitare in aperta campagna con tutti i rischi che comporta il vivere isolati, se avesse una casa confortevole e a un prezzo accessibile? Chi costruirebbe case, soprelevazioni, superfetazioni, in fretta ed in economia senza il rispetto dei più elementari criteri antisismici e con materiali scadenti, se avesse la possibilità di realizzare legalmente e a buon prezzo ciò che gli serve? Chi?

 

In questo paese i problemi si rimpastano, si rigirano, si lasciano cronicizzare fino a farli incancrenire, ma non si risolvono mai. Li si affronta sempre attraverso rimedi che risultano sempre peggiori del male che si vuole estirpare. Perché non ci poniamo mai le domande giuste prima di fornire le soluzioni? Ammesso che si abbia la buona fede di voler veramente risolvere il problema e non l’intento inconfessabile di specularci e innestare perversi sistemi che producono consenso e clientela, a discapito del vivere civile e democratico, e a discapito della giustizia sociale. Così un problema non risolto per chi è chiamato a risolverlo è un problema che alimenta il consenso, ad intercettarlo, ad incrementarlo, a mantenere un potere fondato sulla gestione del bisogno, fatto di diritti che diventano favori e di favori che diventano merce di scambio.

Questa è l’esegesi di un fenomeno che si sviluppa in Italia nel tardo ultimo dopo guerra (guarda caso al fiorire dei nuovi strumenti urbanistici), e che ha prodotto lo scempio irreversibile del paesaggio e ha determinato condizioni di pericolo per la incolumità dei cittadini, per via degli alti livelli di rischio sismico che porta in se, difficili quasi impossibili da mitigare.

Chi rischierebbe di spendere fiumi di denaro in processi, costi legali e progettuali, oblazioni, sanzioni, risarcimenti e ripascimenti ambientali? Chi rischierebbe la galera e la demolizione di quanto faticosamente costruito? Se i piani regolatori fossero tecnicamente ponderati, se gli uffici tecnici fossero più attrezzati, se chi fa i controlli fosse più solerte, se le procedure giuridiche fossero più celeri e se tutto il processo fosse meno farraginoso?

Avete mai visto un macellaio o un medico che da soli, con le loro conoscenze professionali e personali siano capaci di eludere il fisco, trattare con le banche per riciclare denaro in nero, evadere abilmente tasse e tributi, farla franca in commissione tributaria, ecc. Muovendosi da soli, tra le pieghe di leggi, regolamenti, circolari esplicative, commi, pastoie e procedimenti? Sfruttandone cavilli, errori, zone d’ombra, ritardi, occasionali contingenze, espedienti interpretativi, tragiche disfunzioni delle istituzioni, ecc.? Li avete mai visti agili nei rapporti con le istituzioni avvantaggiarsi dell’inefficienza attuativa delle autorità, speculare sulla lentezza delle procedure, della burocrazia e degli organi di controllo? Potrebbero fare tutto questo senza l’aiuto di un ragioniere, di un commercialista, di un tributarista, di un fiscalista, di un economista, di un avvocato, di un direttore di banca, del bonario suggerimento di un amico finanziere, della dritta suggerita dal cugino impiegato all’ufficio dalle imposte, dell’ex compagno di scuola oggi geometra al Catasto o del cliente notaio? Insomma potrebbero fare quanto sopra senza l’aiuto di una figura addetta ai lavori?

Il macellaio o il medico al massimo possono esprime la volontà di pagare meno tasse, perché ritengono necessario accumulare più denaro possibile per mettersi al riparo dalle insidie del futuro, perché giudicano la pressione fiscale ingiusta o sproporzionata, per eccesso, rispetto ai loro sforzi lavorativi o alle loro aspettative di guadagno, perché hanno reali necessità economiche contingenti o, più semplicemente, perché hanno scarso senso civico e sociale. Ma non possono fare quanto auspicano senza rivolgersi agli specialisti del ramo, agli esperti del settore. Cioè a coloro che a vario titolo dovrebbero contribuire a fargli pagare le tasse secondo legge e che invece, abili a “maneggiar le grida” li aiutano ad eludere o ad evadere il giusto pagamento dei tributi.

Questo perché come si dice: “fatta la legge trovato l’inganno”. È vero! Chi di noi almeno una volta nella vita con ha cercato l’inganno, il raggiro della legge? o almeno ha pensato di cercarlo? Spesso trovandoci inconsapevoli vittime di sistemi perversi e innaturali che ci scaraventano nel paradosso di dover scegliere senza alterativa: tra salvarsi con la disonestà o soccombere per onestà. (In proposito suggerisco la lettura dell’ultimo libro del compianto Oliviero Beha: “Mio nipote nella giungla. Tutto ciò che lo attende, nel caso fosse onesto”).

Dunque il punto è, nel “delitto” che compie il macellaio, chi è che trova l’inganno? A chi serve trovare l’inganno? A chi è utile che la legge sia così lasca da poter essere ingannata? Forse serve a chi la pensa? O chi la scrive? A chi l’approva? O a chi la fa rispettare? A chi controlla che sia applicata? O a chi la applica? A chi poi difendere il reo? O a chi rivede in seguito alla condanna la dichiarazione dei redditi? L’ipotesi che a trovar l’inganno siano il macellaio o il pizzicagnolo, appare molto remota.

Perché in paesi come la Francia, la Germania, la Svezia, l’Inghilterra, l’Olanda, la Norvegia, il fenomeno dell’abusivismo edilizio non esiste? E là dove si verifica è efficacemente contenuto e represso?

Perché i processi urbanistici dalla progettazione all’attuazione sono processi che sviluppano che hanno come obbiettivo garantire il “diritto urbano”. Sono processi di governo del territorio che hanno ontologie umanistiche e ecologiste. Sono strategie di pianificazione che sviluppano processi sociali attraverso virtuosi processi urbanistici. Perché in quei paesi piani regolatori sono concepiti come strumenti di riconoscimento di diritti come: il diritto alla casa, alla salute, alla qualità della vita. Altrove gli strumenti urbanistici e le leggi urbanistiche sono strumenti ad alta compatibilità antropologica. Strumenti per i quali è l’uomo la misura e non il danaro, la speculazione o il privilegio. Questi strumenti non concepiscono le rendite fondiarie, e non concepiscono l’azione privata nella gestione dei processi sociale e dei diritti del cittadino.

Inoltre in quei paesi i piani urbanistici vengono puntigliosamente attuati, i controlli nelle fasi attuative sono puntuali e preventivi e i collaudi nelle fasi conclusive sono rigorosi. I piani regolatori sono piani di dettaglio, che arrivano al progetto preliminare di ogni singolo manufatto da insediare nel territorio, da più piccolo ammennicolo urbanistico al palazzo, alla piazza, alle casetta, alle ville, al museo, all’ospedale, etc..

E’ chiaro e pacifico che un processo di sviluppo urbanistico e territoriale così organizzato così e meno labile e non lascia spazio a speculazioni o abusi. In assenza di speculazione fondiaria non c’è abusivismo edilizio.

 

Così si spiegano i morti di Casamicciola, i fatti di Licata, gli ecomostri che le amministrazioni non hanno mai abbattuto, per inefficienza, per mancanza di mezzi, di fondi, per complicità clientelare, o perché, nella maggioranza dei casi si è aperto un contenzioso legale che in moltissimi casi è ancora in corso e nessuno degli attori ha interesse a concludere.

Nel nostro paese dei beni comuni si trae solo benefici diretti e privilegi o li si gestisce solo per i clienti.

Negli altri paesi i politici sono a servizio dei cittadini e hanno come compito la risoluzione dei problemi complessi guai se il loro aggravamento. Gli elettori sono elettori consapevoli e liberi e non clienti costretti nel bisogno o dal bisogno. Altrove la burocrazia è un servizio, per altro efficientissimo, da noi un violento sistema vessatorio.

Se tutta la ricchezza che produce il nostro territorio fosse distribuita in modo perequato ognuno avrebbe, come altrove, il necessario per vivere bene. Da noi invece non abbiamo nemmeno il “minimo esistenziale”: quello che serve all’uomo dal punto di vista biologico emotivo, culturale e sociale.

E proprio non dando questo “minimo esistenziale” che il potere politico e amministrativo prospera. Cresce creando disagio. E’ lui l’artefice del disagio. Perché è lui che ha il potere di fare le cose. Potere politico e potere amministrativo. Pasolini diceva “Peccare non significa soltanto fare del male, non fare il bene è anche peccato.

Se tutto fosse ordinato, se tutti avessero la possibilità di avere un lavoro, una gratificazione esistenziale, se le opportunità di un piano regolatore venissero attuate e distribuite equamente, e ci sarebbe la possibilità di avere case e case al mare e in montagna per tutti, senza incrementare i carichi antropici…basta pensare alla ridistribuzione degli alloggi dei grandi enti, dei grandi possessori di immobili, e dei grandi costruttori, basti pensare all’enorme invenduto di alloggi che si registra in questo paese.

Siamo il paese che più al mondo ha un patrimonio di alloggi privati invenduti, quello che ha il più alto deficit di case popolari, e l’unico che ha un endemico fenomeno di abusivismo edilizio, che puntualmente produce, vittime durante gli eventi naturali è devasta uno dei paesaggi più belli al mondo, compromettendo irreversibilmente la qualità dell’ambiente naturale con gravi ricadute sulla salute pubblica.

Le leggi sul condono, hanno prodotto solo danni, alterazioni, territoriali, paesaggistiche e morali. Leggi diseducative che premiano o lasciano vie d’uscita ai trasgressori, condizionando fortemente l’efficacia dei piani regolatori.

le leggi sul condono edilizio sono la panacea per tutti.

per tutte le figure che a vario titolo sono coinvolti nel fenomeno dell’abusivismo edilizio, figure istituzionali, e non.  Ognuno per la propria competenza deve esprimere pareri retrospettivi, formulare relazioni postume, nulla osta ora per allora, ecc. Ed ecco che ognuno presenterà il suo distinguo disciplinare che, apriti cielo, è quasi sempre rigidamente in contrasto con la legge sul condono (come potrebbe essere altrimenti? Anche se a tutti è chiaro che basta che paga). Ed ecco che ognuno esprime parere positivo a condizioni (condizioni quasi sempre non rispettabili) o si impongono postume prescrizioni (quasi sempre astratte e impossibili da attuare). Dando vita ad una surreale ridda di: questo non si poteva, questo a rigore era inammissibile, ecc… Ognuno impone il rispetto postumo delle procedure di specifica competenza, con la naturale irritazione di aver la consapevolezza di essere stati scavalcati, non dall’abusivo ma dalla legge (e questo genera comprensibili frustrazioni per chi cerca di fare le cose per bene) che faticano a prendere in considerazione  l’ipotesi che il condono avvenuto il pagamento della sanzione è una pietra tombale su tutte le procedure non rispettate. Ed ecco che le carte riferite all’abuso man mano assecondando i dettati dei vari verificatori tardivi e lievita a dismisura. Certificazioni, calcoli, perizie, attestazioni, tutto postumo, tutto formalmente ineccepibile, tutto praticamente e tecnicamente falso. Nascono così tanti corti circuiti tecnici e amministrativi tra la prescrizione del genio civile e quella della soprintendenza, tra le condizioni dettate dal demanio nell’esprimere nulla osta e quelle del acquedotto comunale, ecc.. E poi escono fuori, vecchie leggi applicate ora per allora, nuove leggi, applicate retrospettivamente. Insomma un garbuglio inestricabile che fa assumere all’abuso una vita virtuale propria. Sulla carta l’abuso diventa un’altra cosa, e finisce per essere più abusivo di prima. Poiché per renderlo compatibile a leggi e regolamenti il proprietario dichiara tutto ciò che, a compartimenti stagni gli viene suggerito, dai funzionari delle amministrazioni pubbliche, dai tecnici di fiducia, dagli avvocati, da amici di turno.  Una fiera di distinguo, di verifiche di formalità, a norma di legge, in punta di diritto.

Ma tutto questo perché?  a che serve e a chi serve tutto questo teatro?

L’abuso è fermo è lì non lo può muovere nessuno – nessuno lo vuole spostare e meno che mai demolire- perchè non andare tutti insieme a vedere e poi tutti insieme approvare o rigettare la domanda di condono e provvedere alla demolizione? No!!  Sarebbe troppo facile e troppo giusto.

Forse serve solo a spillare, consenso, soldi e altro tipo di prebende al malcapitato abusivo?  Creando un grande paradosso: il reo che diventa vittima. Il reo che è già da prima vittima predestinata. Perché la sua azione abusiva è istigata. Dalla legge che paradossalmente prevede l’abusivismo per necessità, per il quale è previsto un alleggerimento della sanzione pecuniaria, acclarando l’incapacità stessa di chi fa le leggi di non riuscire a garantire, con le leggi stesse, le necessità dei cittadini e i diritti dei cittadini ad avere una casa e una  strutturazione sociale dignitosa. Tutto questo lo sancisce per legge.

Basta solo creare il bisogno della casa necessaria, della casa al mare, è il gioco è fatto, e tutti a spillare, denaro, consenso a rafforzare potere e rispetto del proprio ruolo.

Mentre vanno sempre più in fondo al baratro i meno attrezzati, i più fragili, quelli che non resistono alla lusinga dell’uguaglianza. Dell’essere uguali solo nel possesso di beni e oggetti, e non uguali nei diritti.  Così finiscono senza scampo in una condizione gregaria e servile. Un servilismo colpevole senza vie d’uscita. Clienti senza potere contrattuale senza alternative con la sola speranza di divenire i servi del padrone giusto, quello più potente, sotto la cui egida stare al riparo dalla legge sguazzando nel sistema del favore che con un gioco di prestigio fa scomparire i diritti.

Tutto è preordinato in materia di condono, come in tante altre materie, sanità, scuola, etc..

Tutto questo non senso della “fenomenologia dell’abusivismo edilizio” a chi conviene?

Pensiamo veramente che convenga all’abusivo? esattamente come egli stesso crede? Avventurandosi inconsapevole nell’avventura a perdere dell’illegalità edilizia? Ma no!

L’abusivo è solo attore e vittima, al tempo stesso. È solo strumento delle lusinghe dei politici che promettono altri condoni (fai così non ti preoccupare poi ti aiuto io, tanto non abbattiamo la casa a nessuno, riconoscimi il consenso e approveremo in parlamento un altro condono) ma non gli prospetta certo tutta la via crucis da fare per tenerla in piedi.

L’abusivo è lo strumento/vittima di figure infedeli ai loro compiti d’istituto come: amministratori locali, burocrati, tecnici delle istituzioni, professionisti, avvocati, usceri dell’ufficio proposto, etc..

Nessuno di queste figure sopra citate ha a cuore il paesaggio, l’ambiente, la civiltà, la socialità, e meno che mai le necessità dell’abusivo… Ognuno di questi nella migliore, o peggiore, delle ipotesi dal semplice zelo alla deplorevole corruzione celebra il suo ruolo e la sua identità. E quando c’è qualcuno che comincia a far valere il buon senso, la concretezza e cerca di mettere un freno alla deriva deformante… come il sindaco di Licata è costretto a dimettersi, sempre a norma di legge.

Quella legge che consente ai disonesti di fare le leggi e di approvarle senza assumersi nessuna responsabilità, di perseguire interessi personali a discapito di interessi della collettività e dei loro concorrenti, tutto “senza passare per criminali”. Tutto perché questa facoltà gliela dà la legge, quella legge che essi stessi formulano, approvano e applicano ….. E noi?…. Noi continuiamo a chiamare questo trucco, democrazia.

Carmelo Celona

10.09.2017