Le Scalinate abusive

L’invasione delle scalinate “abusive”  delle chiese barocche nella Val di Noto

 

Il potere si legittima attraverso la conquista dello spazio fisico in cui si insedia. L’invasione degli spazi è conditio sine qua non al dominio del territorio ed è funzionale al condizionamento culturale dei popoli. La lotta per il potere è anche la lotta per la conquista dello spazio. Un singolare esempio di architettura che esprime i rapporti di forza tra poteri contrastanti che si contendono spazi urbani per radicare il loro potere e per esercitare la loro influenza sulla popolazione che abita gli spazi contesi è il “Barocco Siciliano”.

L’architettura e l’urbanistica del ‘700 risentono molto della cultura illuminista del XVIII secolo e della concezione laica dell’assolutismo delle grandi monarchie europee. In questo scenario la Sicilia è un universo a sé. Un universo ultroneo quanto reazionario alle istanze relativiste. Ciò nonostante l’isola abbia avuto, a causa di un drammatico evento naturale, la possibilità di essere il laboratorio ideale dove applicare i paradigmi di quella cultura illuminista che in seguito avrebbe portato ad una delle più grandi rivoluzioni della Storia.

Il 9 gennaio del 1693 un fortissimo terremoto colpì la “Val di Noto” distruggendo moltissime città e cancellando quasi del tutto la schietta grammatica dell’architettura arabo siculo normanna, archetipo di una Sicilia multiculturale.

A seguito di questa immane catastrofe Il Viceré Juan Francisco Pacheco Uzeda nominò vicario generale per la ricostruzione della Val di Noto Giuseppe Lanza Duca di Camastra, magistrato del regio governo spagnolo, incaricandolo di sovrintendere alla ricostruzione delle città cadute. Il panormita si avvalse della collaborazione di un architetto militare, il fiammingo Carlos De Grunembergh, già autore in Sicilia, sempre per conto della corona spagnola, delle fortificazioni a difesa delle città di Augusta, Siracusa, Catania e Messina, dove progettò la Real Cittadella.

I due urbanisti cominciarono a riprogettare le città rase al suolo dal sisma rivedendo radicalmente gli originali impianti urbani e prevedendo per le più danneggiate persino la ricostruzione in altro sito, come nel caso della città di Noto. Il disegno delle città risorte interpretava pienamente il razionalismo illuminista che si andava declinando in tutta Europa, in aperta contrapposizione alla concezione barocca della città Teatrum Mundi, concependo i nuovi organismi urbani come spazi laici. Lanza e De Grunembergh progettarono impianti urbani regolari, strade lineari, intersezioni ortogonali, tessuti a scacchiera all’interno dei quali ricavavano piazze, slarghi, ampi marciapiede: tutti spazi di concezione pubblica. Strutture urbane interpreti dell’ordine assolutista che affermavano con una razionale modellazione degli ambienti cittadini la loro concezione laica. Fu il caso di Grammichele, Avola, Noto e Catania, il cui antico impianto superstite  fu razionalizzato prevedendo la realizzazione di un rettifilo in direzione Nord Sud (l’attuale via Etnea) e due rettifili ad esso ortogonali in direzione Est-Ovest (via Vittorio Emanuele e  via Antonio di San Giuliano), concependo anche  nuovi grandi spazi pubblici come l’attuale piazza Duomo e piazza Università.

Purtroppo la storia ci insegna che compagni indivisibili dei terremoti sono le speculazioni e il radicamento di nuovi poteri. Le catastrofi e le conseguenti condizioni d’emergenza raramente sono occasione per il verificarsi di pratiche virtuose finalizzate al miglioramento delle condizioni spaziali preesistenti, nonché di quelle civili, sociali e culturali. Nel caso della Sicilia Orientale colpita dal grande terremoto, l’auspicio di una ricostruzione virtuosa ha rischiato di verificarsi grazie al Duca di Camastra che dette seguito al suo mandato con celerità ed efficienza. Le sue azioni di risanamento riscossero subito un enorme successo per la sua capacità operativa,  per l’efficacia del soccorso prestato, per la visione strategica dei suoi progetti urbanistici e per il suo modo virtuoso di operare.

Così lo racconta nell’immediatezza del suo intervento Francesco Privitera nel suo “Dolorosa tragedia “ del  1695: “Il Camastra era uomo dalla mente larga e quadra, dall’energia rapida e diritta. Arriva a Catania, fa rigorosa giustizia dei ladri. Fa restituire i furti. Provvede di vittovaglie i cittadini. Raduna medici per evitare l’immane contagio. È provvido in dar ad ogni modo da vivere. Eligge novelli Uffici. Congrega un general Consiglio di Cavalieri e Religiosi a fine di terminare i sconcerti sull’erettione, come altresì a comporre molte contese, che sugli affari del pubblico vertevano: concretando il tutto con universale acclamazione. Somministra con indefessa assistenza impulso ai cittadini di gareggiare all’innalzamento delle novelle fabbriche nei disegnati limiti dell’organizzata pianta.”

I piani di ricostruzione delle nuove città disegnati dal panormita e dal fiammingo prevedevano razionalità e rigore geometrico negli impianti urbani e spazi pubblici organizzati con efficiente ergonomia funzionale.

La chiesa locale soffrì non poco questa acclamazione popolare verso il vicario degli spagnoli e nacque un braccio di ferro  tra il potere temporale del Vicerè e quello spirituale del Clero.  Quest’ultimo intuì subito  che per contrastare il riformismo illuminista di Uzeda avrebbe dovuto evitare ad ogni costo una ricostruzione come quella progettata; una struttura fisica sulla quale si sarebbe potuta innescare la deriva del relativismo illuminista. Così i vescovi di Catania e Siracusa attivarono tutto il loro potere per contrastare l’operato del Duca di Camastra riuscendo ad imporre come urgente priorità, nella programmazione urbanistica delle nuove città della Val di Noto, l’erezione di 700 chiese, 250 monasteri, 22 collegi  e due cattedrali. Il vescovo di Catania Andrea Riggio, tra i due il più risoluto, “usando la sua onnipotente autorità pastorale”, riuscì ad affiancare ai due illuminati urbanisti, un giovane prete architetto, il panormita, Giovan Battista Vaccarini che da tempo operava a Roma, nelle grazie del potentissimo Cardinale Pietro Ottoboni e che era stato allievo del famoso architetto Carlo Fontana, che presto fu nominato architetto di città. Sul suo esempio tutti i vescovi fecero in modo da nominare a capo degli uffici tecnici dei municipi architetti preti o di estrazione ecclesiastica.

Grazie a queste ingerenze dell’urbanistica relativista restarono solo le geometrie delle piante delle città. Gli spazi pubblici previsti dai piani regolatori furono  puntualmente disattesi. Ovunque si registrò l’invasione di spazi pubblici da parte di strutture religiose le quali sconfinavano sempre dai limiti delle aree loro assegnate dal piano regolatore, invadendo con le loro strutture piazze, slarghi, marciapiede. Si imposero prepotentemente in quelli spazi che l’ontologia dei piani di estrazione illuminista aveva concepito come spazi da dedicare alla socializzazione laica.

Aspri furono gli scontri fra la chiesa e le autorità municipali che tentavano di imporre il rispetto delle previsioni dei piani regolatori. Ovunque le chiese aggredivano “abusivamente” gli spazi pubblici antistanti, interrompevano la continuità dei marciapiede, invadevano la sede carrabile delle strade, disattendevano il divieto di collegamenti aerei che sorvolavano le strade.  Queste illegalità furono difficilmente perseguibili poiché ad operare la realizzazione fisica delle strutture “abusive” furono impunibili architetti preti forti dell’Apostolica Legazia.

Sicché in molte città fu fatto divieto alle maestranze di prestare la loro opera per si fatte illegali realizzazioni. Ma la chiesa ricorse all’espediente di dare i voti a tutti gli operai impiegati nelle fabbriche degli edifici religiosi neutralizzando così  ogni azione repressiva delle autorità laiche.

Quasi tutte le scalinate di chiese, monasteri e altro tipo di edifici religiosi che suggestivamente caratterizzano il Barocco Siciliano sono “abusive”, realizzate con l’espediente dell’impunità prevista dall’Apostolica Legazia.

Le maestose scalinate della Cattedrali di Noto, Modica, Ragusa Ibla, ecc., sono un’occupazione abusiva di spazi pubblici operata dalla Chiesa. Le articolate scalinate delle chiese di via Crocifieri a Catania sono una furba invasione dei marciapiede e l’interruzione di percorsi pubblici. Rappresentano un evidente disconoscimento da parte del potere ecclesiastico delle istituzioni laiche manifestato con una deliberata sottrazione di spazi pubblici .

Un modo con il quale la Chiesa ha imposto in maniera imperitura il suo potere, sottolineando con quelle invasive gradinate, il possesso del territorio. Un recupero di un dominio culturale, una dimostrativa prova di forza, l’ostentazione di un potere al di sopra di ogni regola, una prepotenza in nome di Dio, una furbizia in punta di fede.

Lo stesso dicasi per i tipici ponti chiusi che nelle città ricostruite sorvolavano le strade pubbliche per mettere in comunicazione tra loro edifici religiosi. Corpi aerei, soprappassi abusivi, come nel caso dell’”Arco di S. Benedetto”, attraversato il quale comincia la suggestiva via Crociferi a Catania, realizzato dal vescovo Riggio in disobbedienza ai regolamenti urbanistici, per mettere in comunicazione due monasteri frontistanti. Nella circostanza le autorità municipali, nonostante avessero negato preventivamente l’autorizzazione, non ebbero possibilità di perseguire il reato e di ordinarne la demolizione del manufatto perchè: “il Vescovo abusando della sua autorità fece di nottetempo dar mano alla costruzione, dispensò ai murifabbri gli ordini minori per sottrarli alla giurisdizione laica.”

Così la Chiesa dopo il sisma del 1693, nella Val di Noto, “usando la sua onnipotente autorità pastorale”, impose il suo potere. L’occupazione dello spazio gli permise di far trionfare la misericordia sulla giustizia sociale d’ispirazione relativista progettata dal Duca di Camastra.

Basti pensare che nel 1750 a Catania, su una popolazione di 25.000 abitanti erano attivi 18 conventi, 1/1300 ab., ed operavano 37 confraternite di misericordia: 1/675 ab.

Queste strutture dall’estetica trascendente, fiorite con tanta densità in uno spazio ferito, pronte a dare risposte al bisogni primari di sopravvivenza, ricovero fisico e conforto spirituale ad un popolo caduto, facilitarono conversioni e indussero una diffusa sudditanza psicologica che indirizzò la mentalità dei sinistrati verso la negazione di ogni materialismo. Il popolo catanese grazie a quest’operazione reazionaria sviluppò una devozione che ancor oggi lo caratterizza.

Organismi architettonici che si servirono di un’architettura barocca suggestiva ed enfatica. Esempi magistrali del Barocco Siciliano. Un linguaggio di grande valore artistico manifesto della Chiesa romana, che divenne presto simbolo del potere della Chiesa in Sicilia.

Carmelo Celona

08.08.2017