Il Teatro Antico: tra perfezione funzionale e notti estive del mito

Un tempo l’estate era anche le serate trascorse nei teatri antichi per le tante rassegne del teatro classico. Una catarsi antica che si riproponeva nelle fresche sere della modernità.

Si cominciava già nel mese di maggio con la rassegna delle tragedie greche di Siracusa e poi in piena estate continuava con un nutrito calendario che ci faceva viaggiare nel mondo antico da Segesta a Morgantina, da Taormina a Tindari, da Palazzolo Acreide a Catania. Le notti siciliane si riprendevano il loro mito, la loro tradizione culturale più alta.

Così ci immergevamo nel mondo classico fino a toccare, in quegli spalti in pietra scolpita, nelle trame drammatiche di Eschilo, Sofocle e Euripide, o nelle commedie di Aristofane recitate dai più grandi, e veri, attori teatrali del tempo, le nostre radici più profonde. Un’autentica magia che compiva il miracolo del viaggio nel tempo passato.

Tutto questo è avvenuto fino a quando questi luoghi dell’anima, questi archetipi della millenaria cultura dell’isola non sono stati oltraggiati dalle logiche prosaiche di quest’era bottegaia, che negli ultimi 25 anni ha visto sempre più trionfare il nonsenso del profitto a tutti i costi.

Il pragmatismo del bisogna fare cassa, la logica becera secondo la quale con la cultura non si mangia, hanno infranto il tabù inviolabile dei teatri antichi, ove prima di allora non era permessa alcuna contaminazione con altri generi artistici, figurarsi con concerti di cantanti pop, rock e persino melodici, con tanto di amplificazione assordante, con spettacoli di cabaret di bassa lega, o con intere rassegne di teatro dialettale di cattivo gusto che si sta affermando sempre più sul vero teatro. Tutto perché questi spettacoli riscuotono il gradimento delle masse e dunque hanno valore culturale, secondo la cieca legge del consumismo, per la quale gli escrementi sono un ottimo prodotto perché milioni di mosche non possono sbagliare.

Così la forza del denaro ha profanato anche questa sacralità. E Noi che in quei luoghi sacri abbiamo vissuto l’incontro tra il meglio del mondo antico con il meglio del mondo moderno, è abbiamo goduto della loro magia, oggi assistiamo attoniti a questo genocidio culturale, perpetrato dal capitalismo predatore di banche e multinazionali che governano su chi governa e che tutto posso, a dispetto delle amministrazioni pubbliche e delle soprintendenze che invece non possono più nulla.

Noi portatori di valori ormai arcaici, che abbiamo avuto la fortuna di provare il gusto della perfezione nell’arte e nella cultura e sappiano che questa merce, ormai rara, non si compra con il denaro perché è frutto spontaneo dell’albero della passione (albero a cui da tempo hanno reciso l’apparato radicale),trascorriamo, ormai, le nostre serate estive nel silenzio delle nostre case, incatenati come Prometeo, colpevoli di non voler accettare ciò che impone il nuovo Zeus della postmodernità, surrogando il piacere di quelle serate del mito con la lettura di quel Creonte e della sua ragion di stato o di Antigone eroina della coerenza. Modelli comportamentali, che mettono i principi e la dignità perfino davanti ai sentimenti più intimi, di cui ormai si è persa la semenza.

Ecco come abbiamo perduto il piacere inestimabile di godere di quegli spazi modellati, oltre due millenni fa, da grandi architetti. Teatri che furono e sono ancora i più grandi esempi di perfezione architettonica.

Il Teatro Antico è una delle realizzazioni architettoniche la cui concezione tipologica ha raggiunto il livello massimo di perfezione funzionale, un’architettura che non ha più nulla da perfezionare o da evolvere. La sua prestazione funzionale è perfetta, tautologicamente perfetta. La sua forma, la tecnica costruttiva adottata, i materiali impiegati e i principi geometrici ed acustici applicati rappresentano una delle più alte espressioni artistiche mai raggiunte in architettura. Il Teatro Greco (penso al teatro di Epidauro) è la più classica delle opere d’arte in architettura. Ciò è dovuto al raggiungimento del perfetto equilibrio tra forma e funzione. Una forma perfetta e una funzione perfetta. La forma del Teatro Antico esprime perfetta armonia, proporzione, simmetria ed equilibrio formale. Ed assolve in modo assoluto alla sua funzione con perfetta acustica e perfetta chiarezza armonica, esattamente come quella di uno ottimo strumento musicale.

Marco Vitruvio Pollione nel “De Architectura” così indica i requisiti che debbono essere l’obbiettivo della fabbrica di un teatro: “La voce è continua non si sente né dove comincia né dove finisce; si percepisce soltanto ed appare distinta negli intervalli da nota a nota.”

Gli antichi greci già sapevano che il suono si propaga in modo circolare, come l’acqua si propaga a cerchi concentrici quando viene urtata da un corpo estraneo (l’effetto del il sasso nello stagno). Così nel Teatro Antico le onde circolari del suono emesso dall’“Orchestra” sono accolte in modo geometricamente complementare dalla geometria circolare degli spalti. Onde sonore e spalti sono l’uno il positivo e il negativo dell’altro e si completano in un incastro perfetto. Ciò non consente il verificarsi di ostacoli, ritorni o echi che possano disturbare la propagazione del suono, sicché il medesimo arriva chiaro, diretto e soave agli orecchi degli spettatori. Una delle più riuscite perfezioni funzionali della storia dell’architettura, forse la più riuscita.

L’architettura è costituita da due fattori essenziali che la connotano: la forma e la funzione. La funzione è l’utilità che se ne trae e la forma è la trasformazione dello spazio. Una forma senza funzione non è un’architettura ma una scultura, viceversa una funzione senza una forma che abbia equilibrio, armonia e senso simbolico trasforma l’architettura in un utensile.

Nel Teatro Antico la modellazione dello spazio tende a farsi veicolo di propagazione dei suoni. Una forma che si fa strumento musicale. Una forma architettonica concepita come uno strumento, uno strumento musicale che non si serve di nessun artificio per migliorare le sue prestazioni funzionali.

La modernità musicale, intesa come elettrificazione che amplifica la propagazione dei suoni e degli effetti scenici e scenografici non ha migliorato e non può migliorare le prestazioni funzionali della forma del Teatro Antico. Per questo il Teatro Antico è, ossimoricamente, anche moderno.

Esso non viene superato dalla modernità, perché già la contiene; ne contiene le sue potenzialità con ampio anticipo temporale (oltre 2000 anni).

Il Teatro Antico, con la sua forma e le sue prestazioni funzionali risulta ancora idoneo, adatto e insuperato nella sua funzione. La sua concezione ontologica si rileva come la lucida metafora di come non tutto quello che viene dopo è progresso. La sua perfezione fatta di pietra e di sapienza si afferma anche in un’epoca fortemente tecnologizzata dove nulla più vale e tutto è obsoleto se non è digitale.

A me non resta che l’antico dilemma se, pur stando dalla parte di Antigone, debba comprendere o no il solenne Creonte interpretato da Giulio Bosetti. Non resta che il dolce ricordo: dell’odore notturno delle siepi di pitosforo che circondavano il teatro greco di Tindari; della dolcezza del  primo bacio di un amore nato sulle gradinate del perfetto teatro di Palazzolo Acreide; del piacevole tepore sulla pelle dovuto al pullover indossato per difendermi dalla brezza marina che raggiungeva gli spalti del teatro greco romano di Taormina, mentre Eduardo De Filippo teneva il suo ultimo discorso pubblico; dell’alba di ferragosto che dorava il tempio e irradiava la cavea del teatro di Selinunte mentre Adriana Asti leggeva le poesie di Kavafis.

Carmelo Celona

08.06.2017