L’architettura si subisce
Una volta realizzata una brutta architettura si subisce
Un libro scritto male, una musica cacofonica, un quadro malfatto, una statua sgraziata, un oggetto di designer che non assolve la propria funzione (come certe tazze da caffè dal manico impossibile da impugnare o taluni utensili che contrastano la funzione per la quale sono stati concepiti, essendo totalmente incompatibili con l’anatomia umana – sedie, poltrone, forbici, ecc…), si possono non leggere, non ascoltare, rimuovere dalla parete, mettere in soffitta, non acquistare. Sono opere che possono non essere necessariamente subite. Permettono ad ognuno la libertà di evitarle. Con l’architettura la libertà di scelta non è possibile. Una volta realizzata una brutta architettura la si subisce, con l’aggravante che essa diviene elemento che caratterizza e determina la fisionomia dei luoghi che invade, condizionando l’estetica dei luoghi in cui viviamo, degli spazi che abitiamo o che siamo costretti ogni giorno a frequentare. L’architettura ci circonda è condiziona inevitabilmente il nostro gusto deformando quello collettivo. La realizzazione di un edificio è un’esperienza culturale che coinvolge tutti, poiché incide sulla percezione subliminale di chi ne viene a contatto e condiziona il senso estetico di chi la vive veicolando al fruitore una precisa categoria di pensiero che può essere evolutiva o regressiva a seconda della qualità della forma, della funzione e del segno.
L’architettura assume in se una grande responsabilità civile, sociale, morale e culturale nel momento in cui caratterizza un luogo, attivando processi d’identificazione tra il luogo e chi lo abita.
Negli ultimi tempi, amorfe architetture, spesso prive di senso, latrici di una condizione afasica della creatività progettuale, affollano e deturpano il panorama cittadino: uno scenario tra i più belli al mondo, pregno di storia e di mito.
Queste sciatte opere prive di senso, il cui linguaggio alessico riferisce chiaramente un significato ancora più brutto della forma stessa, nascono da processi prosaici, ai quali gioco forza devono obbedire. Il loro involucro esprime quasi sempre incoerenza formale, squilibri e disarmonie, metafore evidenti dei compromessi che condizionano tutte le fasi progettuali ed esecutive, ai quali difficilmente gli architetti possono sottrarsi.
Bisogna arrestare al più presto i processi che determinano l’attuale produzione architettonica delle città. (mi riferisco alla qualità dell’architetture minori, quelle ordinarie, non certo agli episodici interventi delle archistar), prima che diventi l’unico modello estetico a cui fare riferimento, deformando definitivamente il gusto collettivo e rafforzando irreversibilmente quella categoria di pensiero, ormai dilagante, che sostituisce il senso estetico con gli unici due sensi che conosce: quello dell’utile e del redditizio.
Carmelo Celona
05/05/2016