Un terremoto perenne
Seminario sul tema:
“Messina Terremoto perenne: dalla ricostruzione post terremoto ad oggi”
Messina: 06 marzo 2014 – ore 17.00
Casa dello Studente
evento organizzato dal Comitato Studentesco
Introduzione :
– Giulia Giordano (rappresentante del comitato organizzatore);
– Elisa Zanghi (rappresentante del comitato organizzatore);
interventi:
– arch. Carmelo Celona (storico dell’urbanistica);
– Pietro Saitta (sociologo, docente dell’ateneo peloritano);
– Pierpaolo Zampieri (sociologo urbano, docente dell’ateneo peloritano);
– Gaetano Sciacca (Ingegnere Capo del Genio Civile prov. Messina);
I lavori introdotti dalle studentesse Giulia Giordano ed Elena Zanghì hanno trattato un’analisi retrospettiva della ricostruzione della città di Messina dopo il terremoto del 1908 e i suoi effetti riscontrabili ancora oggi sia nel tessuto urbano che nel tessuto sociale. Quest’ultimo aspetto approfondito e trattato dai professori Saitta e Zampieri: il primo articolando il suo intervento sull’analisi riportata nella sua recente pubblicazione “Quota zero” (Donzelli editore) relativa alla condizione sociale dei cittadini messinesi ancor oggi costretti a vivere nei quartieri baraccati, il secondo analizzando i segni di periferie e quartieri degradati della città. L’ingegnere Sciacca ha illustrato gli alti livelli di rischio antropico e naturale cui è sottoposta la città versa, le cui cause sono anche da ricondursi a scelte urbanistiche lontane o ancor meglio alle categorie di pensiero speculative che sin dal Piano Borzì si sono succedute sul territorio messinese.
La relazione dell’arch. Celona
“Il Piano Borzì: un fatale paradigma – analisi retrospettiva di una secolare predazione”
illustra come la rivoluzione industriale abbia introdotto in architettura le tipologia delle case economiche e popolari, una tipologia edilizia “moderna”, mai concepita prima. Una tipologia che fu espressione del pensiero progressista e del sentimento socialista che dopo la rivoluzione francese si diffuse in tutta Europa sulle ali di una nuova visione umanista del mondo basata sui principi di giustizia e uguaglianza. La rivoluzione industriale aveva spostato masse di contadini nelle città ai cui margini sorgevano sempre più le industrie. Così ovunque nacquero baraccopoli nelle quali si concentrava la nuova classe operai, vivendo in tragiche condizioni igieniche e sociali. A disciplinare per prima questo fenomeno, che presto diventò una emergenza urbanistica e sociale, fu l’Inghilterra, spinta dal clamore che ebbe nel 1845 il trattato sulle “Condizioni della classe operaia in Inghilterra” di Friedrich Engels, che rafforzò le forti denunzie pubbliche di Alexis de Tocqueville sulle condizioni di vita degli operai di Manchester. Così nel 1847 venne emanato nel Regno Unito la prima legge di salute pubblica che imponeva requisiti sanitari e tipologici per le case degli operai e dei ceti meno ambienti e prevedeva l’eliminazione dei tuguri che affollavano quasi tutte le città. Presto la questione del diritto ad un alloggio salubre e dignitoso per le classi lavoratrici divenne un tema centrale nel cambiamento della società europea che impose le grandi trasformazioni urbanistiche delle capitali europee. La politica delle case popolari fu uno dei fattori preminenti che contribuì alla nascita dell’”Urbanistica Moderna”. Una nuova concezione della città coerente con la nuova visione di una società più egalitaria: una società dei diritti e quindi del diritto alla casa. La secolarizzazione di questi processi all’inizio del ‘900 vede apparire nello scenario europeo i movimenti delle Città Giardino e delle Città Lineari. Modelli di città a misura d’uomo. Città immerse nel verde e prive di speculazioni edilizie. Città la cui forma fu espressione dei nuovi diritti sociali e del rispetto per la natura e l’ambiente. Gli inizi del ventesimo secolo le nuove teorie urbanistiche diventano scienza. Camillo Sitte e la sua Città Moderna teorizza il paradigma al quale fecero riferimento le nuove città e le trasformazioni e gli ampliamenti di quelle esistenti. In Italia gli esempi che fecero scuola furono: le trasformazione di Firenze (1900), Milano (1903) e Roma (1909). Tutti esempi concreti di città armoniose dove si è sviluppata una qualità sociale che ancora oggi fa delle medesime città contesti urbani di buona qualità della vita sociale e civile. Purtroppo questi modelli non furono i riferimenti del Piano Borzi: lo strumento urbanistico con il quale si è fatta risorgere la nuova città di Messina dalle macerie del terremoto del 1908. Da una puntuale analisi tecnica retrospettiva, il Piano Borzì risulta essere anacronistico e di concezione reazionaria. La tipologia urbanistica adottata si rifà all’insula romana e come concezione alle città coloniali. Nessuna delle teorie dell’urbanistica moderna viene presa in considerazione e adottata. Niente verde, niente edilizia intensiva, ecc. Lo spazio urbano viene diviso in piccoli isolati i quali a loro volta sono stati divisi in piccoli comparti edificatorii. Questo scelta tipologica ha favorito una gestione quasi del tutto privatistica della ricostruzione. Lo Stato è intervento solo per finanziare la costruzione di piccoli palazzetti signorili, molto appetiti dalla borghesia agraria dell’entroterra che ha potuto insediarsi nel cuore della città inurbandosi allontanato gli autoctoni che in quel frangente pativano perdite affettive patrimoniali psichiche. Il Piano ha favorito una spietata speculazione edilizia. I sinistrati non sono stati sostenuti dallo Stato che attraverso un meccanismo perverso ha finanziato bene e meglio gli speculatori privati filo governativi.
La costruzione delle case popolari, pur essendo gravemente sottodimensionata (solo ¼ rispetto della superficie edificabile destinata ad alloggi signorili per il libero mercato) è stata molto rallentata per favorire il mercato degli alloggi privati, lasciando senza i necessari ed urgenti alloggi tutti quei cittadini che il sisma aveva scaraventato nel baratro del bisogno e della necessità.
Così i superstiti si sono ritrovati ai margini della città, rispetto all’antica città, molto ampliata, del Piano Borzì, sono stati scaraventati in improbabili villaggi “ultra popolari” realizzati con lentezza lungo il periodo fascista dal 1922 al 1939. Villaggi senza strade, senza servizi, lontanissimi dalla città, localizzate spesso in zone in ombra, alle pendici dei rilievi, nei diverticoli del territorio comunale. In questi luoghi marginali sono state costruite casette, spesso monolocali, che di antisismico avevano poco, e molto essenziali, che eufemisticamente furono chiamati cottage.
Questa asimmetrie di trattamento, determinata da ciniche scelte urbanistiche, una vera e propria Fenomenologia della Baracca. Cittadini ancora oggi, in attesa di riscatto, aspettano ancora il riconoscimento di un diritto elementare: il diritto alla casa e ad una socialità egalitaria.
Questa sottrazione di diritti permane ancora oggi e non è stata ripagata nemmeno dagli strumenti urbanistici che per un secolo si sono succeduti al governo della città. Ancora oggi in città c’è una sorta di apartheid.