Gesso
(villaggio collinare ricadente all’interno del territorio comunale, che sorge sul versante nord dei Monti Peloritani e si affaccia sul Mar Tirreno)
CaSO4·2(H2O) è la formula chimica di un minerale, di cui una parte di territorio messinese è ricco.
Una pietra che per secoli fu estratta e lavorata sui monti peloritani producendo un materiale dal versatile utilizzo. A questa attività estrattiva probabilmente si deve la nascita di un insediamento urbano ad essa funzionale.
Un piccolo borgo collinare, sito a nord dello Spartiacque, che si affaccia sul mar Tirreno, al confine con il territorio di Villafranca Tirrenia, che da questo minerale prende il nome.
La pietra è il solfato di calcio biidrato, comunemente chiamato gesso. Un minerale tenero al cui nome da tempo immemore si rifà il villaggio di cui parleremo, chiamandosi semplicemente: Gesso.
Si tratta di un piccolo nucleo urbano d’antica fondazione posto sul crinale dell’ultimo colle del versante settentrionale della catena montuosa che ricade amministrativamente sul territorio del comune di Messina. Ameno si affaccia sull’azzurro sconfinato del mare, con un panorama d’incanto che guarda a destra la penisola milazzese e le isole eolie, a sinistra la costa Calabra, con Capo Vaticano, e davanti l’infinità del Tirreno meridionale con in mezzo Stromboli e Panarea. In questo luogo da tempo immemore l’economia e la vita sociale era centrata sull’estrazione e la lavorazione del gesso.
La sua fondazione risale ad epoca antichissima. Verosimilmente i primi a farne un nucleo urbano a vocazione mineraria furono i greci (In greco gesso è γύψος – gýpsos) e poi i romani (in latino gesso di dice gypsum). Ecco perché in lingua siciliana questo minerale viene denominato Ibbisu, e gli abitanti del borgo peloritano si chiamano ibbisoti e non gessoti o gessitani. Questa etimologia oltre a spiegare il toponimo, conferma che la tradizione mineraria siciliana non fu solo sale e zolfo, ma anche gesso. Anzi fino alla scoperta della polvere da sparo l’estrazione dello zolfo nell’isola era attività estrattiva secondaria rispetto al gesso.
Le cave erano vicinissime al paese. Le più importanti si trovavano nelle contrade di Locanda, Razia, Pimmiri, Pantalena, Crucidda e Chiarita. In alcune di queste località vi erano allocate anche le fornaci. Di alcune vi sono ancora vestigia.
La Produzione
Il Gesso si estrae da cave a cielo aperto come le latomie, dove la pietra viene frantumata e ridotta in blocchi che verranno cotti in forno a temperature superiori ai 180°, sicchè l’acqua cristallizzata nella pietra evapora.
La cottura trasforma il CaSO4•2H2O in CaSO4 +2H2O: un’anidrite solubile che dopo la cottura può essere ridotta in polvere attraverso un processo di macinazione dal quale si ottiene una polvere bianco grigiastra, omogenea. Un legante aereo che impastato con acqua ha un lento tempo di presa (15 – 30 minuti) che consente di plasticizzare con facilità l’impasto.
La polvere di gesso non viene utilizzata solo nell’edilizia ma anche nell’odontotecnica, nell’ortopedia, nella scultura, nella scuola e in varie attività decorative.
Il Gesso nell’Edilizia
Nell’edilizia si usa per la formulazione di malte utili per la finitura di pareti lisce, per particolari effetti estetici negli interni, per sottofondi lisci per pavimenti o per rivestimenti murali di pregio. Il gesso è un materiale che possiede un buon potere adesivo, è facilmente lavorabile anche in assenza di inerti, non subisce deformazioni da ritiro, resiste al fuoco ed è termo e fono isolante. Con esso si realizzano pannelli divisori leggeri e di facile applicazione, pannelli fonoassorbenti, pannelli per controsoffittature, etc..
L’odontotecnica si serve di questo materiale per produrre stampi per protesi dentarie. L’ortopedia per le fasciature gessate che immobilizzano gli arti per il recupero delle fratture. Molto usato è nella scuola: quale alunno non ha mai scritto con una bacchetta di gesso su una lavagna?
Il Gesso nell’Arte.
Nell’arte è diffusissimo. Oltre alla realizzazione di calchi, modelli e statue, il gesso nell’arte diventa “Stucco”, trasformandosi nella materia base di una nobile “arte minore” applicata all’architettura. Lo “Stucco” è un miscuglio di gesso impastato con colla di pesce, polvere di marmo, calce spenta, sabbia, latte cagliato. Un impasto che simula il marmo, soprattutto il costoso alabastro.
I primi stuccatori furono artisti di grande talento e di speciale abilità. La tecnica dello Stucco prevede che definita la forma, che si presentava bianchissima, l’opera venga lucidata con stracci spalmati di cera quindi, all’occorrenza, dipinta con coloranti dorati.
Per le decorazioni e la scultura a Stucco si usa il gesso tipo “Scagliola”, materiale inventato nella città di Carpi nel XVII secolo da Guido Fassi, il capostipite degli stuccatori o scultori in gesso italiani, colui che dette origine la scuola italiana che vide il suo epicentro in Firenze. Dal capoluogo toscano la tecnica si diffuse nel resto d’Europa. In quest’ambito artistico un ruolo di spicco lo ebbero anche la scuola lombarda e quella campana.
Ma su tutte spicca la scuola siciliana, che raggiunge vette magistrali, ancor oggi insuperate, grazie a Giacomo Serpotta, eccelso “masterun stuccator”, capace di meravigliare il mondo con la sua abilità nell’utilizzo del gesso.
Egli è stato tra i più grandi artisti dell’arte baracca siciliana è il più grande stuccatore di tutti i tempi. Nato a Palermo, alla Kalsa, nel 1656, da una famiglia di artisti. Il padre Gaspare e il nonno Giacomo erano degli scultori. Giacomo Serpotta ci ha lasciato opere di straordinaria bellezza che senza il gesso non avrebbero visto la luce. L’apogeo della sua genialità lo si può ammirare nelle decorazioni con sculture in stucco degli oratori di Santa Cita e di San Lorenzo a Palermo. Opere che sbalordiscono per la loro grande espressività innovatrice e che fanno del gesso un materiale più prezioso del marmo.
Stupefacente è la sua realizzazione verista di bimbi che ornano le pareti dei due oratori. Fanciulli gioiosi di rara bellezza che popolano l’ambiente: sono i famosissimi Puttini del Serpotta. Non angeli ma bambini reali, festanti, liberi, di cui egli rappresenta ed esalta la fresca fanciullezza, ammonendo il mondo, che all’epoca aveva poca attenzione per i bambini e per la loro fragilità.
Una rappresentazione della faciullezza mai vista prima d’allora. Il suo realismo va oltre il capriccio artistico e con quel turbinio svolazzante di bimbi dal candore smagliante denuncia una fragilità da proteggere.
Serpotta mette in scena, con i suoi stucchi in gesso, l’innocenza da tutelare.
Nulla esclude che il gesso da egli usato provenisse dalle cave peloritane di Gesso. Dove si era sviluppata una modesta tradizione di stuccatori artisti, ultimo quel Pietro Gullì che operò nel rifacimento degli stucchi del Duomo di Messina dopo il 1908.
La Struttura Urbana
Disteso su uno stretto altipiano di crinale, l’organismo urbano occupa fitto tutto lo spazio abitabile che l’orografia consente. L’abitato è percorso da due strade longitudinali in pendenza che definiscono un corpo urbano come un nastro che in basso finisce con l’unico vuoto, la piazza. Una piazza in pendenza. Un paese in pendenza dove ci si muove salendo o scendendo, dove anche spostarsi è faticoso.
Davanti al crinale, spostato un po’ ad oriente, si trova uno sperone di roccia come un avamposto. Un punto che domina il mare dove sorge il convento dei Cappuccini. Una struttura che è stata sempre strategica per l’avvistamento del pericolo proveniente dal mare. Il monastero ha avuto un ruolo preminente nella storia, nell’economia e nella cultura della comunità, così come l’altro convento omologo che si trova su un altro sperone di roccia, anch’esso un punto di guardia strategico, che domina la vallata e il corso del fiume Gallo.
Le due strade sono via Belvedere, la più importante, che partendo dall’alto quasi a precipizio giunge alla piazza dove si erge la chiesa di S. Antonio Abbate e via Onofrio Gabrieli.
Quest’ultima corre lungo il margine orientale dell’altopiano e in fondo ad essa si trova un suggestivo tempio medievale, diruto, inaccessibile, a cielo aperto, che vige in stato di totale abbandono. Misconosciuto pur avendo l’aria di essere stato un elemento essenziale nella storia del luogo. Per la toponomastica e per gli abitanti il solenne organismo architettonico è l’antica chiesa seicentesca della Madonna del Soccorso, ma la sua struttura muraria e l’articolazione architettonica raccontano di epoche precedenti. Da una veloce lettura stratigrafica delle murature quel tempio risale almeno ad epoca medievale e tante cose avrebbe da raccontare se fosse recuperato, valorizzato e reso fruibile.
Onofrio Gabrieli, a cui è intitolata la seconda strada, fu un illustre ibbisoto. Un pittore nato a Gesso nel 1619 che si formò, nella Roma seicentesca, alla scuola di Pietro da Cortona (uno dei maggiori interpreti della pittura barocca). Da Roma poi si spostò nel Veneto dove operò a lungo. A lui sono attribuiti i famosi affreschi di Villa Borromeo a Rubano (Padova). Sua la “Madonna del Soccorso” che si trova al Museo Regionale di Messina che nella seconda metà del secolo scorso fu oggetto di uno scandalo di opere d’arte trafugate dalla pinacoteca e sostituite con copie false, il dipinto era tra queste. La colossale truffa fu scoperta da Federico Zeri ed altri colleghi della Soprintendenza del Lazio, in occasione della celebre mostra di Antonello da Messina tenutasi nel capoluogo peloritano nel 1953, con il famoso l’allestimento di Carlo Scarpa.
L’Economia
L’economia del villaggio da sempre si è basata sull’estrazione e la lavorazione della pietra di gesso che produceva una buona economia esterna i cui proventi però andavano prevalentemente ad appannaggio dei padroni delle cave, delle fornaci e dei mulini.
Le attività agricole prevalentemente basate sulla produzione di olive e di prelibate specie ortive e da frutto producevano anch’essi un’economia esterna la quale andava a favore dei latifondisti. Solo i residui venivano immessi nel povero mercato interno.
Per la gran parte della popolazione c’era il lavoro a giornata, privo di diritti sindacali.
Così si spiegano le condizioni di povertà in cui per secoli ha versato gran parte della popolazione ibbisota ridotta quasi in schiavitù, nonostante le campagne fossero produttive e la filiera del gesso incessante.
Con l’avvento della modernità e della meccanizzazione le povere condizioni economiche si aggravarono. La filiera produttiva divenne definitivamente obsoleta e fuori mercato. I vecchi padroni delle cave e delle fornaci preferirono investire in altre attività invece di industrializzare la produzione del gesso, lasciando definitivamente spazio alle nuove industrie del nord. Ciò provocò un notevole calo demografico, una diaspora verso la città e per molti fu l’emigrazione.
Oggi le cave sono tutte ricoperte da terreno vegetale e le campagne prevalentemente abbandonate.
Il borgo per molti secoli fu tappa strategica per chi trasportava merci, a dorso di mulo o sui carromatti, dai centri della costa tirrenica alla città di Messina e viceversa. Era una sorta di stazione di posta, probabilmente in origine fu una delle tante staziones romane. Questo potrebbe spiegare il toponimo di una frazione del borgo chiamata “Locanda”.
Gran parte dei prodotti agricoli che giungevano ai mercati del capoluogo peloritano, per secoli furono coltivati nell’unica pianura intensivamente coltivabile della provincia di Messina: la Piana di Milazzo. Un’estesa pianura che era per Messina come la Conca d’Oro per Palermo o la Piana di Catania per il capoluogo etneo. Qui si coltivavano tutte le specie ortive e da frutto che venivano commercializzate ai Mercati Generali di Messina. Il loro trasporto, prima della meccanizzazione, avveniva su carri a trazioni animale, e la via più breve per raggiungere la città era scollinare i Peloritani.
I carri, dalla Piana di Milazzo (scelleratamente convertita, nel secondo dopo guerra, in un funesto polo petrolifero e in una centrale termoelettrica) carichi di prodotti agricoli, ogni giorno sul finire della mattinata cominciavano ad avviarsi verso Messina lungo la vecchia Consolare Pompea. Giunti a Ponte Gallo cominciavano la salita verso Gesso dove giungevano nel tardo pomeriggio ed ivi sostavano presso alcune locande per far rifocillare gli animali e riposare i conducenti, i quali solo in tarda serata o a tarda notte riprendevano la strada per Messina per giungervi in tempo prima dell’apertura dei mercati.
Queste taverne di posta costituirono a lungo una significativa economia di transito. Gesso per molto tempo fu un autogrill ante litteram. Poi con l’avvento del motore e il potenziamento delle infrastrutture anche questa economia andò perduta.
La Società
Un tempo Il paese era molto popolato, vi era persino la sede di una Pretura.
La popolazione si divideva a metà: il 50% era esclusivamente impiegata nella filiera del Gesso; l’altra metà, prevalentemente donne o uomini anziani, era impiegata nelle campagne. Nella seconda metà vanno computati anche i pochi artigiani e qualche commerciante. Quest’ultimi soddisfacevano solo le necessità interne della comunità.
Coloro che lavoravano nella filiera del gesso erano in prevalenza uomini e fanciulli. Bambini e bambine venivano impiegati, fin dalla tenera età (a partire da 5-8 anni) così la loro scuola era la Pirera o la Caccara.
Appena individuata la presenza di un filone di roccia di gesso, la prima attività, per avviarne l’estrazione, era quella di costituire l’area di cava, chiamata Pirera. Un’operazione preliminare che consisteva nella rimozione di tutto il terreno vegetale che stava in superficie. Questa attività veniva affidata esclusivamente ai bambini i quali avevano il compito di scavare il terreno fino alla roccia e di trasportarlo a spalle in altro sito affinchè lo spazio d’estrazione fosse libero per la lavorazione e l’accesso.
Liberata l’area di cava si faceva brillare la dinamite che frantumava la roccia in grandi blocchi, ognuno dei quali successivamente veniva ridotto, a colpi di mazza, in pietre di più piccole dimensioni il cui peso si aggirava intorno a trenta chili: questo lavoro era affidato agli uomini più vigorosi della comunità.
I blocchi di gesso ridotti e resi di forma stoccabile andavano trasportati dalla Pirera fino allo spazio carrabile più prossimo dove vi erano i carri pronti per essere caricati.
Il trasporto a spalla veniva effettuato dai bambini equipaggiati con le baddedde, una sorta di cesta a zaino, che indossavano sulle spalle. Queste ceste venivano riempite dai ragazzi più adolescenti, loro predecessori, che intanto erano passati a lavori più pesanti. Questi sollevavano le pietre sulle spalle dei più piccoli. Così carichi (da 30 a 60 kg), i bambini cominciavano a risalire il fondo della cava lungo i terrazzi a spirale, che d’estate erano roventi e accecanti e d’inverno fangosi e scivolosi, fino ai carri. Una fatica minorile da girone dantesco. I bambini di Gesso erano come i Carusi delle solfatare, gli schiavi bambini raccontati da Pirandello e Verga (Ciaula scopre la luna e Rosso Malpelo – n.d.a.) e immortalati da Guttuso e da Onofrio Tomaselli.
Caricati, i carri questi muovevano verso le Caccare: fornaci circolari, dove la pietra veniva cotta. Le Caccare venivano fittamente costipate di pietre, come degli altiforni, per ciò la pietra proveniente dalle Pirere doveva essere ben sagomata, per aumentare la quantità da cuocere. A queste operazioni di caricamento erano deputati operai più specializzati. I bambini nelle Caccare erano impiegati nella raccolta della legna nel sottobosco che serviva ad alimentare il fuoco di cottura trasportandola sempre in spalla.
La pietra ormai cotta e disidrata veniva macinata nei mulini che si trovavano quasi sempre a ridosso o prossimi alle Caccare. Ottenuto il gesso in polvere, si confezionava in sacchi che venivano inviati ai grandi distributori di materiale edile che lo commercializzavano.
Questi bimbi erano impiegati dal lunedì al sabato e lavoravano dall’alba al tramonto, e colui che si fosse presentato qualche minuto dopo l’arrivo del chiarore del sole, per essersi attardato un po’ sotto le calde coltri, non veniva assunto e perdeva la giornata, generando nocumento alla già misera economia famigliare. Così ci testimonia Antonio Cappuccio, uno degli ultimi “Carusi delle Pirere”, che abbiamo incontrato tra le vie del paese: un ottuagenario che nella Pirera cominciò a lavorare all’età di sei anni e ci rimase fino a quando perse un occhio per via di una scheggia di piccone.
Il villaggio fu un vero e proprio villaggio minerario, funzionale all’attività estrattiva e alle attività di trasformazione e lavorazione del gesso.
Tutta la filiera del materiale nobilitato, tra il ‘600 ed ‘700, dall’arte scultoria di Giacomo Serpotta, era cinicamente basata sullo sfruttamento del lavoro minorile.
Come in altre spietate realtà anche a Gesso i lavori più faticosi e stremanti, per abbattere i costi di produzione, venivano affidati ai bambini, esseri viventi che meno degli altri potevano sopportare la fatica, minandone la salute per sempre.
Quante ricchezze si sono fondate sul sacrificio di quelle innocenti creature? Di quale romantica civiltà contadina oggi si parla? Di quali tradizioni ci vantiamo?
Forse è venuto il momento di fare i conti veri con un passato che per certi versi è stato atroce per via di un feudalesimo schiavista fino a ieri irrisolto e oggi molto spesso esaltato.
Forse è il caso di raccontare certe condizioni sociali così crudeli che oggi fanno spavento, innalzando monumenti a quella infanzia negata e violata che tanto ci ricorda gli schiavi bambini delle solfatare.
A noi dopo aver scoperto questa storia ci piace pensare che i famosi Angeli del Serpotta hanno visto la luce grazie ad altri angeli sconosciuti, disumanamente sfruttati, il cui sacrificio ha fornito il materiale con il quale lo scultore panormita ha realizzato eccelsa bellezza.
Ci piace pensare che quei straordinari “bambini di gesso” di Santa Cita e di S. Lorenzo sono stati realizzati grazie anche al sacrificio di altri “bambini di Gesso”.
Solo pensandoli artefici involontari di tanto splendore possiamo rendergli omaggio.
Ma una comunità per secoli così soggiogata tutto questo forse non lo sa …
Carmelo Celona
30.09.2020
Perché i luoghi di Messina si chiamano così: Gesso (letteraemme.it)