Villaggio U.N.R.R.A. , Messina
(area prossima al mare compresa tra la foce del torrente S. Filippo a sud e la parte bassa di via Contesse a nord. Ad ovest la via Calispera e ad ovest dalla linea ferrata che corre lungo il mare)
“Quella infelice città appariva ridotta in condizione quasi simile a quella in cui fu ridotta dal terremoto del 1908”: questo è quanto si legge nel rapporto degli storici della R.A.F. (Royal Air Force), in riferimento agli esiti dei bombardamenti che le forze alleate operarono sulla città di Messina nell’estate del 1943.
Si chiamava B-24 Liberator! Era un bombardiere quadrimotore che lanciava bombe da 3600 kg a lungo raggio di cui l’aviazione americana si servì, per bombardare più che gli occupanti la popolazione da liberare, quando si dice la forza dell’eufemismo.
In soli 19 giorni (dal 29 luglio al 19 agosto del 1943) la città fu oggetto di 2805 bombardamenti aerei. L’obbiettivo dichiarato era quello di colpire tutte le strutture militari e le infrastrutture civili che potessero essere utili all’armata tedesca per attraversare lo Stretto e risalire lo Stivale. La strategia era di fare di Messina un cul de sac per nazisti e fascisti che battevano in ritirata.
Un po’ eccessivo per colpire i pochi presidi militari, i pochi ponti di periferia e le strutture di ormeggio. Per avere un’idea leggiamo a casa il bollettino di uno di questi giorni: il 5 agosto il cielo venne coperto da 400 di questi Liberatori (Liberator B-24) che sganciarono per tutto il giorno migliaia di bombe di grossissimo calibro sul centro della città e sui quartieri di Giostra, Dazio Ritiro e Muricello, dove non c’era nessun obiettivo militare. Questo avveniva quasi ogni giorno. Danni incalcolabili e miglia di morti tra i civili: un’ecatombe!! Operata dal fuoco amico e liberatore.
La tipica e tutt’oggi abusata strategia militare degli americani: bombardare a tappeto le città da soccorrere distruggendo come e vite per avere una facile conquista via terra con il vantaggio di operare la successiva ricostruzione dei luoghi distrutti, colonizzandoli meglio in assenza di segni e forme della tradizione locale. La guerra è sempre un grande affare!!
Per questa immane tragedia è il caso di dire, parafrasando Shakespeare: tanti morti e distruzione per nulla. I tedeschi in città non c’erano e l’armata tedesca proveniente da Palermo nell’attraversare lo Stretto ebbe pochissime perdite di uomini e mezzi, toccando quasi integra la sponda calabra. Le truppe tedesche anticipati dai reparti pontisti giunsero da Palermo dalle vie di crinale dei Monti Peloritani, scesero a valle da Villafranca e alcuni dalla via Palermo porandosi subito a Capo Peloro, dove le avanguardie avevano predisposto grosse reti metalliche sull’arenile consentendo ai mezzi anfibi di salpare facilmente. Durante l’attraversata l’aviazione americana non riuscì a colpire nessuno dei bersagli natanti tedeschi perché questi erano dotati di “palloni frenanti” (grandi paracaduti sospesi in alto nel cielo, come dei enormi aquiloni che impedivano agli aerei nemici di scendere alla quota giusta per poter colpire. Sotto la quota dei palloni sarebbero stati facile bersaglio dei mitragliatori antiaereo a 4 canne che tutti i mezzi tedeschi avevano. Così i nemici tedeschi ebbero pochissime perdite mentre gli amici messinesi innumerevoli. Di questo nessuno si curò tanto gli americani avrebbero latamente risarcito.
Infatti, qualche mese dopo, il 09 novembre 1943 veniva fondata l’”‘United Nations Relief and Rehabilitation Administration” più nota con l’acronimo U.N.R.R.A. Un’organizzazione internazionale con sede a Washington, finalizzata al “sollievo” e alla “riabilitazione” delle popolazioni uscite gravemente danneggiati dalla guerra. Una delle prime associazioni umanitarie che gestiva i soldi delle potenze vincitrici per dare ristoro economico e civile ai paesi alleati.
In Italia l’U.N.R.R.A. cominciò ad operare nel 1946 nel campo dell’assistenza sociale e industriale. Alla fine del 1947, il 19 dicembre, venne istituito anche il settore edilizio: l’U.N.R.R.A.-C.A.S.A.S.. Il secondo acronimo stava per: Comitato Autonomo di Soccorso Ai Senzatetto. Un Comitato che si sarebbe dovuto occupare della realizzazione di alloggi per coloro che avevano perduto la casa a seguito dei bombardamenti. Questo Comitato era presieduto dal Ministro dei Lavori Pubblici e diretto da funzionari statunitensi e funzionari italiani del CNR. Nel 1951 venne nominato vicepresidente Adriano Olivetti, il padre dell’urbanistica italiana e dell’architettura neo realista. L’illuminato imprenditore promosse la realizzazione di una moltitudine di Villaggi U.N.R.R.A. in tutta Italia, alcuni dei quali assunsero un ruolo paradigmatico nel panorama della Edilizia Popolare italiana dell’epoca, riconosciuti di notevole pregio sperimentale, come il Quartiere di S. Basilio a Roma e il villaggio U.N.R.R.A. di Matera.
L’UNRRA-CASAS interviene anche a Messina, per ristorare i cittadini dai danni bellici progettando un quartiere di 210 alloggi ubicato a valle della zona di “Contesse”, compresa tra la linea ferrata che costeggia il mare e l’antica via del Dromo.
Il progetto venne affidato all’architetto Michele Valori, una delle figure più significative dell’architettura neorealista italiana. Docente universitario, allievo di Mario Ridolfi e Ludovico Quaroni, con il primo collaborò alla realizzazione del Quartiere Tiburtino Ina Case di Roma e con il secondo al Quartiere Rurale della Martella a Matera. Fratello della famosa Bice Valori, compagna di vita e d’arte dell’attore Paolo Panelli.
Valori è noto per aver redatto, insieme a Luigi Piccinato, Mario Fiorentino ed altri, il Piano Regolatore di Roma del 1965. Membro dell’APAO, l’Associazione Per l’Architettura Organica, fondata da Bruno Zevi, in Sicilia realizzò il quartiere UNRRA-CASAS di Catania. Fu colui che progetto le tipologie di alloggi di edilizia economica e popolare della G.E.S.C.A.L. diffuse in tutta italia.
I lavori del quartiere messinese ebbero inizio nel 1949-50 ed i primi alloggi furono consegnati a partire dal 1960. Il nuovo rione risentì molto di taluni modelli dell’urbanistica americana del ‘900, declinati in chiave neo-realista dall’architetto romano.
Unità immobiliari dalla tipologia essenziale, forse troppo: casette a schiera dalla forma rigidamente regolare, veri e propri piccoli cubi, affiancati in stecche da 4 o 5 unità. La schietta composizione dei prospetti si limitava a riferire la semplicità della distribuzione interna. Ogni modulo abitativo era costituito da saletta, cucina e servizi al piano terra e da due camere al primo piano raggiungibili da una scala interna. Davanti ad ogni alloggio un ampio patio e nel retro una striscia di terreno vegetale per l’orto. Una sorta di architettura sociale dell’auto sufficienza alimentare di concezione oweniana. La fisionomia generale del quartiere era armonica ed estensiva: un piccolo brano di città da provincia americana, singolare nel contrasto tra disegno urbano sinuoso di sapore olmstediano e la rigida cifra neorealista dal verbo spartano, severo, misurato, troppo misurato, come si rivelerà in seguito. Il quartiere era attrezzato di chiesa, piazza, uno spazio per lo sport e uno per l’istruzione, ed in posizione baricentrica un mercato. Tutto secondo il canone ideale americano ed in anticipo sugli standard urbanistici italiani del 1968.
Ma l’ergonomia interna degli alloggi era tragicamente insufficiente, tanto che dopo poco tempo gli orti furono superati, più che dal boom economico imposto dello stesso modello imperialista americano, dalle concrete esigenze di spazio residenziale dei destinatari degli alloggi e divennero terreni edificabil, dove realizzare le “comodità” domestiche: l’essenziale stanza in più per alleggerire l’eccessiva promiscuità famigliare, la cucina abitabile per un decente desinare, il garage per l’automobile, la lavanderia e il ripostiglio mancanti, più ampi servizi igienici, etc.
Così l’armonico quartiere si trasformò in una bolgia di ampliamenti, superfetazioni, barachette, … tutte abusive… che sostituirono ogni metro quadrato di verde previsto. Di quell’ordine socialista, deficitario in superficie utile per gli alloggi, per via dei pochi fondi messi a disposizione della associazione umanitaria taccagna, finanziata da quegli stati che qualche anno prima non avevano badato a spese nello sganciare le bombe, salvo poi fare la cresta al momento del “sollievo” e della “riabilitazione”, non è rimasto nulla.
La fisionomia dell’urbanistica estensiva di marca americana è stata assorbita dalla fisionomia fatale dell’abusivismo di necessità. L’armonia dell’urbanistica organica a stelle e strisce importata per riparare i danni bellici è stata fagocitata dalla fenomenologia della baracca messinese.
Le case UNRRA, come le casette dei villaggi ultrapopolari post terremoto, sono risultati del tutto incompatibili con le esigenze antropometriche dei destinatari, basti osservare l’altezza ridotta delle seconde elevazioni, inspiegabile se non col la logica di fare la cresta ove possibile. Il problema di sempre alle nostre latitudini: qualcuno ha speculato, riducendo all’osso il diritto abitativo, fingendo di non sapere che è l’uomo la misura di tutte le cose, e che l’esigenza degli spazi prima o poi esplode e si afferma comunque, producendo inevitabilmente disordine urbano, architettonico, e soprattutto degrado civile e sociale. E’ la fenomenologia della baracca messinese, bellezza!!
Ancora oggi, per chi non lo sapesse, l’ U.N.R.R.A. mette a disposizione fondi per proposte progettuali. Nella logica dei finanziamenti neoliberisti di cui ogni bisogno sociale è afflitto di questi tempi. E’ stato istituito il Fondo UNRRA, per chi volesse provare, nella babele degli enti finanziatori, che sfugge ed impedisce ogni logica di programmazione coerente, a provare l’ennesima lotteria per una riqualificazione della zona, Una sorta di risarcimento retrospettivo stavolta non del danno ma della beffa.
Carmelo Celona
22.12.2019
Perché i luoghi di Messina si chiamano così: U.N.R.R.A. (letteraemme.it)