I borghi antichi tra retrotopie e eutopie: l’ultima prospettiva per una nuova armonia sociale

La ribalta mediatica propone, purtroppo in cifra marcatamente folkloristica, l’idea dei borghi antichi…  come nuovi luoghi antitetici ai non luoghi. Luoghi dove cullare il sogno di una vita migliore, di una vita a misura d’uomo, di una vita di qualità. Una narrazione omeopatica di stampo neoliberista, con tanto di concorsi, di sfide tra diversità locali e improbabili competizioni tra identità eterogene. Come sempre, il circo mediatico trasforma un’idea buona nel suo contrario, manipolandola per farne solo occasione consumistica che fatalmente perderà la sua efficacia restando sterile: il Borgo più bello d’Italia, il Borgo dei borghi, ecc.. Così l’identità diventa Brand, l’interesse verso realtà più quiete si trasforma in Target, i primi esempi di attivazione di nuovi processi sociali diventano Start Up, etc.. Tutti pacchi vuoti incartati da anglicismi esoterici che di concreto e utile non propongono nulla, se non l’effetto trascinamento di mode effimere. Al massimo un po’ di turismo mordi e fuggi che presto svanirà come neve al sole. Mai nulla di strutturale per far rivivere e riabitare quei contesti.  Finita la ribalta televisiva queste potenzialità ripiombano nell’oblio. Che fine hanno fatto le case ad un euro? gli alberghi diffusi? Il turismo dei prodotti tipici? Il borgo di Favara, famoso per aver registrato le visite di artisti di tutto il mondo, comunque continua a mantenere il suo degrado e la ricostruzione e la normalità urbana ancora tardano a venire, e tarderanno finché durerà questo effimero effetto mediatico. Così tutto si concretizza solo in qualche singolo arricchimento o in qualche piccola speculazione. Alla fine i borghi restano sempre spopolati nonostante vincano uno di questi “concorsi di bellezza”.

Nondimeno il fenomeno va attentamente valutato in quanto indicatore di un bisogno di recupero di identità, unicità e memoria sottratti dalla globalizzazione. Gli italiani deprivati delle identità locali si stanno rifugiando nella nostalgia e nel ricordo di un passato sempre più sbiadito: a scuola la storia non si studia più per decreto, gli storici sono sempre meno e negletti, le generazioni analogiche, che hanno vissuto il passato, sono già morte e i pochi sopravvissuti vengono considerati obsoleti. Così l’idea (per quanto indefinita) di un passato, comparata all’angosciante prospettiva di un futuro imperscrutabile spinge a pensare a nuovi stili di vita. L’idea di una vita nueva comincia a prendere forma. Si registra un’epidemia di nostalgie sfocate del passato, dove i borghi antichi rappresentano un’altrove nel quale immaginarsi un futuro migliore di quello che si prospetta.  Questa attrazione verso l’idea romantica di vivere nei borghi rientra in quella nuova pulsione collettiva (anch’essa effetto collaterale della postmodernità) che Zygmunt Bauman chiama “Retrotopia”: l’idea di un futuro immaginato nel passato. Un passato consolatore, che per quanto violato, deturpato, abbandonato, ha la sua rappresentazione fisica nei borghi antichi. Il Significante di una società fatta di relazioni positive. Il regno del: “c’era una volta” (quella metafora con la quale si tenta da sempre di trasformare la favola in realtà). Quel luogo ideale, già esistito, dove agganciare l’idea di un futuro migliore del presente.

Abbandonata la modernità con le sue idee progressiste di un futuro fatto di luminosa novità chiamata avanguardia ecco che la post modernità, dall’orizzonte incerto, ci conduce verso un luminoso passato. Ci porta a concepire il futuro non come un luogo dove dar vita ad un’utopia, ma dove recuperare il passato, unico fattor a cui si riconoscono buoni contenuti. Oggi guardando alle macerie della civiltà occidentale consegnate dal capitalismo finanziario, il futuro ha senso solo se si guarda al passato. Il passato come unica idealizzazione antagonista al neoliberismo proposto come la panacea che avrebbe liberato dalle regole dello Stato, dai doveri morali, dai legami con la tradizione e alla globalizzazione vista come una emancipazione dell’identità locale. Grandi lusinghe che cominciano ad essere percepite per quel che sono: una mela bacata che nasconde il verme della schiavitù e del disagio sociale ad ogni livello. Un contrasto istintivo alle politiche di privazione di diritti, di sottrazione di protezione sociale, di servizi collettivi, di beni e spazi comuni che hanno cancellato un percorso di emancipazione umana durato due secoli, a partire dal fatidico 1789.  Al futuro roseo della globalizzazione ormai non crede più nessuno. Ogni volta che quel futuro si è fatto presente si sono registrate, e si continuano a registrare, solo e soltanto perdite rispetto al passato. Altro che progresso!!! Così la globalizzazione ha disinnescato nelle genti l’istinto all’utopia e l’idea stessa della rivoluzione: Il potere dominante cosmopolita è invisibile ed i rivoluzionari, qualora ve ne fossero, non possono assaltare nessuna Bastiglia, per il semplice fatto che non c’è. L’unica rivoluzione possibile è il rifugio nel passato. In questo ferale scenario il passato si trasforma nell’unica idea che risolve il presente, divenendo unico possibile contenitore del sogno di un tranquillo futuro, ove praticare una visione “altra” del domani.

Ma come recuperare il passato? Dove si trova, nel presente, l’idea del passato? Le tracce più visibili e più concrete di quest’idea rassicurante sono i borghi antichi, unici luoghi dove si conserva, più o meno integra, la forma della storia. Autentici libri di pietra dalla cui attenta lettura è possibile discernere quanto di buono essi hanno rappresentato per l’uomo. Nei nuclei urbani d’antica fondazione e nei loro territori si trova ancora ogni risorsa essenziale per l’uomo, si trovano ancora le condizioni sostanziali per far nascere un nuovo urbanesimo a scala umana. Serve dunque un radicale cambio di rotta verso un nuovo paradigma esistenziale: invece di transitare il passato nella modernità bisogna portare la modernità nel passato.

Bisogna organizzare bene, senza concorsi e suggestioni, la risposta a questa dilagante domanda di fuga, a questo forte bisogno di armonia sociale, di quiete, di concretezza e di qualità di vita di cui si manifesta ogni dove la necessità. Occorre operare strategie che mettano al riparo dalla morsa cinica del capitalismo predatore e da nuove forme di schiavitù sempre più legalizzate. Necessita cominciare a progettare modelli di vita sicura, dall’orizzonte certo e rassicurante, una sorta di ripari esistenziali. Serve concepire luoghi per un ritorno alla civiltà o ancora più semplicemente l’uscita dalla barbarie invisibile in cui ci troviamo. Solo gli antichi borghi e le loro vocazioni rurali e naturalistiche possono essere i luoghi dove mettere in atto processi sociali inediti. Unici contesti ove si possono raggiungere concrete condizioni di sovranità, che sono con tutta evidenza la soluzione alla crisi imperante. Dove per sovranità si intende la capacità di piccole comunità di soddisfare le proprie esigenze esistenziali, mettendosi nelle condizioni di prendere decisioni e non di operare scelte. Queste ridotte dimensioni territoriali consentono, avvalendosi delle tecnologie più avanzate di trasformare i borghi in luoghi in cui è possibile vivere in sicurezza esistenziale e raggiungere facilmente tre categorie di sovranità: sovranità alimentare, energetica ed economica.

I borghi sono gli unici spazi dove possono sorgere nuovi stili di vita, luoghi dove praticare un nuovo rapporto con le cose, con il territorio, con la natura, con la vita. Luoghi dove si possano costruire inedite forme di vita sociale. Solo in essi si può restaurare il senso di sicurezza perduto e si può praticare il bisogno di riconciliazione con le nostre ataviche radici e con le nostre antiche identità. Questa prospettiva oggi può essere facilitata da quelle stesse tecnologie digitali che hanno prodotto la crisi della post modernità, facendo delle medesime un uso opportuno: Smart city, smart home, domotica avanzata, Fibra ottica, banda larga, sistemi ICT, meccanizzazione alimentata con regimi energetici ecosostenibili, ecc.. Tutti sistemi che faciliteranno, non poco, la fatica di una scelta di vita semi rurale, facendo sì che la terra non sia più bassa, non abbrutisca, non isoli, come un tempo, bensì diventi elemento fondamentale per una nuova armonia sociale sostenibile. I borghi se opportunamente valorizzati sono destinati ad essere gli unici luoghi dove sarà possibile salvare l’identità e abitare la memoria dei popoli e delle comunità. Questo può accadere se l’idea del loro riuso viene concepita come cosa seria e se si innescano processi scientifici e non suggestioni propagandistiche. L’idea del riuso dei borghi antichi, dove far nascere nuovi stili di vita sostenibile è un  processo che non guarda all’Utopia, ma all’Eutopia.

Ogni aspetto dei progetti di riabilitazione/riabitazione non deve appartenere alla categoria del “divenire” ma a quella del “già fatto” e del “già fatto bene”. Occorre mettere in atto in una visione organica e multidisciplinare tutte le pratiche più avanzate e virtuose dei vari saperi.  Concretamente bisogna operare secondo quanto suggeriva Italo Calvino nel suo Le Città Invisibili: “L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; È quello che è già qui, l’Inferno che abitiamo tutti i giorni. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo, riesce facile a molti: accettarlo e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo, è rischioso ed esige attenzione: Saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’Inferno, non è Inferno, e farlo durare e dargli spazio”. Bisogna avvalersi del buono che già esiste trasformando progetti urbani in processi sociali virtuosi. I borghi antichi dovranno divenire autentici contenitori di vita di qualità, interpreti del futuro e di un nuovo modo di vivere altrimenti dove la dignità viene anteposta al prezzo.

Visitando in questi giorni i borghi siciliani si godono suggestive atmosfere natalizie che conciliano la prospettiva di una loro riabitazione perenne che ispira il sentimento di mondi buoni fatti di buon senso, di calma, di quiete, di riflessione, di buona vita… chimere assolute per le città postmoderne……

 

Carmelo Celona

Messina 13/12/2018