Fenomenologia della “Brutto Architettonico”: una perdita della sua dimensione etica e morale

 

Non si arresta l’avanzata della brutta architettura, anzi dilaga. Da molti decenni, in Italia, l’architettura afasica è endemica. Ovunque architetture di dubbia qualità e di altrettanto dubbia funzione, classificabili indiscutibilmente nella categoria del brutto invadono le nostre città. Sono il paradigma di un processo di negazione dell’architettura. Opere Commissionate dagli apparati pubblici e politici, o da grandi imprese private, ormai da decenni non rispondono più ai requisiti minimi di qualità formale e funzionale che anche la più semplice architettura dovrebbe avere. Questo fenomeno trova le sue radici in processi di ordine meramente prosaico che nulla hanno a che vedere con quel vecchio, e ormai obsoleto, processo ideativo e costruttivo che era l’architettura. La fenomenologia del “brutto architettonico”, oltre a non appartenere a nessuna categoria di pensiero, a non avere alcuna cornice di senso, ha pochissimi punti di contatto con i due elementi che sono l’essenza dell’architettura: la funzione e la forma. Una funzione senza la forma non è un’architettura ma un utensile. Una forma senza funzione non è un’architettura bensì una scultura. La bella architettura è il perfetto equilibrio tra i contenuti della forma (che assume valore espressivo) e quelli della funzione (che assumono valore di utilità). Si pensi alla perfezione funzionale e geometrica del Teatro di Epidauro o di Piazza di San Pietro a Roma.

Oggi la funzione di certe architetture amorfe è quella di essere funzionali solo a speculazioni edilizie e commerciali. Di essere funzionali alla corruttela dilagante, alla spartizione politica di incarichi pubblici, ad alimentare il consenso e a rinforzare le già nutrite schiere dei cortigiani del potere politico ed economico. Le Corbusier diceva che in architettura: “dietro ogni segno vi è un’idea”, una vicenda, una storia, un senso, un pensiero, una categoria di pensiero. L’architettura è pensiero. È un processo tecnico/creativo che plasticizza i processi culturali ed etici del tempo in cui nasce, esprimendo l’etica, la morale, di chi l’ha commissionata e di chi la concepisce. Il “brutto architettonico” non contiene elementi di senso culturale, ideologico, artistico, storico e civile. Esso è rigidamente costretta nei binari dei processi pragmatici della speculazione edilizia, economica e politica. E’ un linguaggio architettonico che ha perduto i suoi contenuti morali. Una bella estetica architettonica, prima ancora di essere un fatto formale è una categoria dello spirito che esprime una sua dimensione etica e morale. Un’architettura che non esprime significanti etici e morali non può che trovare la sua ontologia solo nell’ambito di taluni rapporti affaristico-politici e speculativi, veicolati da architetti che sacrificano il senso dell’architettura sull’altare dell’utilità. Questo malcostume stravolge non solo il senso stesso dell’architettura ma deforma anche il ruolo pedagogico dell’architetto. Architetti come Michelangelo, Bernini, Gaudì, Le Corbusier, Gropius, ecc…, sono stati uomini che hanno sublimato le loro esistenze nella realizzazione delle loro opere. L’emolumento non era certo il loro scopo primario, né in alcun modo dava senso al loro lavoro. Erano le loro opere che gli rendeva dignità sociale, non la loro ricchezza, che nobilitavano la loro identità nel contesto sociale in cui vivevano. La ricchezza economica era solo un effetto collaterale del successo delle loro opere: l’architettura un tempo aveva valore meta economico.

Oggi vediamo ricchi e prolifici professionisti misconosciuti, la cui fama non va mai oltre la soglia delle segreterie politiche.  In alcuni casi si tratta persino di un anonimato strategico, visto che la qualità delle loro opere e inversamente proporzionata agli ingenti guadagni. La qualità in architettura si raggiunge quando essa esprime armonia ed equilibrio, sintomi sconosciuti al pragmatismo. L’armonia è l’evidente espressione della passione profusa da chi ha progettato l’opera. L’equilibrio è la chiara manifestazione delle capacità professionali, dell’impegno culturale, dell’architetto. In architettura, come nell’arte, l’armonia e l’equilibrio sono i veri genitori della bellezza.

L’aggravante della fenomenologia del “brutto architettonico” è il suo divenire elemento che caratterizza e determina la fisionomia dei luoghi che invade, delle città, condizionando l’estetica dell’ambiente in cui viviamo, che ogni giorno abitiamo o siamo costretti a frequentare. Ciò condiziona inevitabilmente il nostro gusto e deforma quello collettivo. Incide sulla percezione subliminale e orienta il senso estetico verso categorie di pensiero regressive. Le architetture brutte che hanno devastato e continuano a devastare le città italiane denunciano chiaramente, con il loro non senso e il loro amorfismo, una condizione afasica della creatività progettuale. Alessia architettonica con la quale il progettista camuffa gli scopi manifestamente speculative e amorali del committente.

Queste opere, se le si osserva bene, esprimono solo il disperato tentativo di dissimulare i processi prosaici che le determinano e ai quali debbono obbedire. L’involucro di questi manufatti esprime quasi sempre incoerenza formale, squilibri e disarmonie, metafore degli squallidi compromessi che condizionano tutte le fasi progettuali e quelle esecutive. Questo perché difficilmente chi mente è armonico. Difficilmente chi nasconde l’inconfessabile è equilibrato. Se la bellezza è figlia dell’armonia e dell’equilibrio, la bruttezza non può che essere il suo contrario. Quando il rapporto tra l’opera e il suo creatore è caratterizzato da contenuti prevalentemente, se non esclusivamente speculativi, il risultato non può che essere sciatto e privo di qualsiasi senso e di qualsiasi significato. L’unico significato è quello di un sconcio mercimonio tra l’ideatore e il suo committente, entrambi complici di un sistema clientelare perverso. Questa è l’esegesi del brutto architettonico contemporaneo in Italia: un significante che riferisce chiaramente un significato ancora più brutto della forma stessa. Il “brutto architettonico” è la tragica narrazione e la lucida metafora di tutti quei processi di valorizzazione dell’incompetenza e della mediocrità che da molti anni hanno alterato la convivenza civile e democratica in questo paese, attraverso una corruzione culturale, e non solo, che ormai ammorba ogni occasione della vita pubblica, sacrificando tutto sull’altare del dio denaro.

Siano nella Brutta Epoque, ove si assiste ad una allarmante regressione del gusto e del senso estetico collettivo, al trionfo del banale quale inevitabile prezzo da pagare ai miti del pensiero economico dominante. Non c’è più spazio per quella bellezza architettonica, un tempo veicolo icastico di contenuti etici e morali. La morale è l’etica, ormai sono diventati dei disvalori, elementi di intralcio all’incessante procedere di una fattività paladina di un progresso di cui ormai nessuno più si chiede il senso.

 

Carmelo Celona

10 maggio 2018