La burla di Michelangelo divenuta stilema
Quando in architettura si parla di Manierismo si fa riferimento ad uno stile di transito tra l’architettura rinascimentale e quella barocca. Un’esperienza espressiva che nasce da un’esigenza creativa di alcuni grandi architetti italiani ai quali il canone rinascimentale cominciava a stare stretto. Grandi artisti, Michelangelo su tutti, che sentirono il bisogno di derogare al classicismo rigoroso del Rinascimento Sperimentale di Filippo Brunelleschi (l’Ospedale degli innocenti a Firenze) e Leon Battista Alberti (Santa Maria Novella a Firenze), al Rinascimento Umanista di Donato Bramante (Il tempietto di San Pietro in Montorio a Roma sul colle Gianicolo) e al Rinascimento Ideale di Antonio Codini da San Gallo il giovane (La Basilica di San Pietro a Roma) e si Antonio Averlino detto il Filarete (l’Ospedale Maggiore di Milano) .
Figure dalla creatività sfrenata che sentirono l’esigenza di interpretare i canoni classici con nuove suggestioni e nuove dimensioni emotive vincendo la sterilità del mero esercizio esecutivo. Maestri che ebbero la necessità di improvvisare sui sacri canoni classici, facendo come quando il Jazz improvvisa con la musica classica.
Un rifiuto del classicismo e dei suoi rigidi canoni che si caratterizzò con un forte contrasto tra la norma e la deroga: Michelangelo spezza il timpano, Andrea Palladio inventa l’ordine maggiore o superiore, Sebastiano Serlio una nuova trifora: la serliana, Giulio Romano interrompe i pilastri e le colonne con conci regolari e torce le colonne, il Giorgio Vasari usa con suggestione il chiaro scuro, Bernardo Buontalenti sbalordisce con l’esuberanza della Grotta Grande nel giardino di Palazzo Pitti, ecc..
Il Manierismo (alla maniera dì), fu una delle esperienze espressive tra le più alte che ebbero lungo in Italia e che produsse autentici capolavori dell’architettura universale come: la Galleria degli Uffici di Firenze (Giorgio Vasari); la Basilica di Vicenza (Andrea Palladio); Palazzo Te a Mantova (Giulio Romano); Palazzo Massimo alle Colonne di Roma (Baldassare Peruzzi); La Loggia del Campanile di San Marco a Venezia (Jacopo Tatti detto il Sansovino); Palazzo Farnese a Caprarola (Jacopo Barozzi detto il Vignola); ecc.
Su tutti spicca Michelangelo Buonarroti che con opere straordinarie come la Biblioteca Laurenziata, la Sacrestia Nuova di San Lorenzo a Firenze (che furono veri e propri prototipi del Manierismo), Piazza del Campidoglio, Palazzo Farnese, la Cupola di San Pietro e in ultimo Porta Pia a Roma (Quella dalla quale prese il nome la famosa breccia sulle Mura Aureliane, praticata dalle truppe piemontesi, dalla quale il 20 settembre 1870 i bersaglieri del generale Cadorna entrarono nella città eterna), si può considerare l’ideatore, il genio del Manierismo italiano.
Porta Pia
Porta Pia, realizzata tra il 1561 e il 1565 fu una delle ultime opere del Buonarroti, è un’opera che rappresenta la sintesi più lucida del manierismo romano.
Nel 1560 Papa Pio IV, ripensando ad un nuovo riassetto urbano della città eterna, previde di aprire una nuova porta a Nord-Est lungo le Mura Aureliane (la cinta muraria costruita dall’imperatore Aureliano tra il 270 e il 275 per difendere Roma dalle invasioni barbariche), in sostituzione della ormai vecchia Porta Nomentana. Per il progetto e la realizzazione dette incarico a Michelangelo Buonarroti.
Il grande architetto toscano, ormai vecchio, all’epoca aveva già 85 anni (morirà tre anni dopo l’inizio dei lavori) propose al Papa tre progetti: due celebrativi, fastosi e di notevole valore artistico, ed uno di ripiego, più povero ed economico. Il Papa scelse, non certo per motivi economici, il progetto più semplice e più economico, dando così prova di non essere in grado di capire il valore artistico dei progetti scartati. A questo si aggiunga che pretese che sulla porta campeggiasse un gruppo marmoreo con lo stemma mediceo, per sottolineare la sua appartenenza a un casato così nobile e illustre.
La scelta al ribasso e la mancanza di sensibilità di Pio IV contrariarono molto Michelangelo che plasticizzò la sua irritazione aggiungendo nel prospetto rivolto verso la città, un modello decorativo inedito, totalmente nuovo nella forma e nei suoi elementi, che resterà unico nella produzione michelangiolesca e mai più usato in architettura: un tondo circondato da una fascia pendente con al centro un piccolo parallelepipedo.
Pio IV, al secolo, Giovanni Angelo Medici di Marignano, milanese, vantava di appartenere al Casato dei Medici. Circostanza che già non garbava molto al talento fiorentino, poiché era noto a tutti che il ramo mediceo milanese aveva come capo stipite un avo del Papa che era un barbiere che con uno stratagemma riuscì ad acquisire il titolo nobiliare e l’appartenenza al blasone mediceo, per non tacere che il padre di Giovani Angelo era un esattore delle imposte e noto prestatore di denaro, un usuraio, mentre la madre Cecilia apparteneva ad una famiglia di giureconsulti e notai che non potevano dirsi compiutamente nobili. Inoltre era di dominio pubblico i Medici di Milano non avessero alcun legame di parentela con i nobili Medici di Firenze.
Così, in Porta Pia, nel prospetto che volge alla città, sopra il gruppo marmoreo con lo stemma papale che sormonta lo scudo mediceo a sei palle, sostenuto da due figure alate, campeggia, un tondo cavo, circondato da una fascia pendente fronzuta, con al centro un piccolo blocchetto: è un significante che rimanda in maniera lampante all’idea di una bacinella per la barba con attorno un’asciugamani con frangia e al centro una saponetta. È una burla scolpita, che dice: altro che papa mediceo, ricordati che sei nipote di un barbiere. I geni sono geni anche per questo.
Jacopo del Duca
Durante i lavori per la realizzazione della Porta, Michelangelo si avvalse della fattiva collaborazione del suo amato ed unico discepolo: l’architetto Jacopo del Duca, al quale, dopo la sua morte, (egli muore prima della fine dei lavori, il 18 febbraio 1564) tocca assumere la titolarità della direzione dei lavori e completare l’opera.
Jacopo del Duca, detto anche Jacopo il siciliano nato a Cefalù nel 1520, morirà a Messina nel 1604. Egli, dopo la morte del maestro toscano sarà l’unico interprete dell’autentica cifra michelangiolesca. Molte sue opere si riscontrano nella capitale, dove realizzò nel 1574, sempre lungo le Mura Aureliane, su incarico del papa Gregorio XIII, un’altra porta, la Porta di San Giovanni, dalla quale si parte la via Laurentina. Sua la bellissima chiesa di Santa Maria in Trivio portata a termine nel 1575. Dieci anni dopo sempre nella capitale, nell’attuale rione Trevi, vicino alla Colonna Traiana, completa la chiesa di Santa Maria di Loreto iniziata da Antonio da Sangallo il giovane e nel 1584, su commissione del Cardinal Cornaro, realizzerà Palazzo Cornaro Pamphilj in via della Stamperia, sempre nel rione Trevi. Nel 1585 viene chiamato a Venezia dai Cavalieri di Malta, dove realizzerà per l’ordine crociato, nel quartiere del Setriere, la chiesa di San Giovanni di Malta. Questa commissione e i rapporti professionali con l’ordine cavalleresco, probabilmente, furono il canale che condusse questo grande architetto a Messina, ove trascorrerà gli ultimi anni della sua esistenza, morendoci nel 1604.
Nella città dello Stretto per i Cavalieri di Malta (riparati a Messina nel 1523, in fuga da Rodi e dalla peste) realizzerà una chiesa omologa a quella veneziana: il tempio di San Giovanni di Malta, oggi ubicata a fianco del palazzo della Prefettura.
L’edificio sorge sulle vestige di un’antica abazia benedettina, un tempo ubicata fuori dal perimetro cittadino, fondata dall’abate Placido, martire messinese.
Jacopo del Duca a Messina
Jacopo il siciliano, a Messina, oltre al tempio dei Cavalieri di Malta, realizzerà due grandi opere che hanno caratterizzato per quasi due secoli la città di Messina: La loggia dei Mercanti e la Porta della Loggia, una grande porta trionfale che collegava il porto con la loggia medesima. Entrambe le opere furono distrutte dal terremoto del 1783.
San Giovanni di Malta a Messina
La chiesa di San Giovanni di Malta, fu consacrata dall’ordine cavalleresco Malta nel 1591.
Alcune fonti attribuiscono il tempio dei cavalieri di Malta a Messina a Camillo Camilliani, figlio di Pietro Camilliani, architetto fiorentino (la famiglia Camilliani fu protagonista della Fontana Pretoria di Palermo. Il padre Pietro la progettò e il figlio Camillo la installò nella piazza del municipio panormita). Camillo Camilliani in Sicilia è noto come un valente architetto militare della sua epoca. Difatti, nell’isola, realizzò diverse fortificazioni e moltissime torri. La cifra stilistica delle sue opere è del tutto estranea al linguaggio manierista che esprime il tempio messinese, si può, semmai, ipotizzare un probabile disegno originale del Camilliani. Nondimeno, senza alcun dubbio l’opera è attribuibile (almeno per quanto attiene la composizione dell’involucro) al discepolo di Michelangelo.
La semantica di San Giovanni di Malta, soprattutto nel prospetto absidale, presenta i chiari verbi del manierismo michelangiolesco. Ad un attento osservatore non può sfuggire come l’ordine superiore, le nicchie e il tessuto in laterizio declinino pienamente la cifra del genio fiorentino. La composizione, gli stilemi adottati e le proporzioni riconducono inequivocabilmente ai linguaggi del manierismo michelangiolesco. Cifre ormai assorbite dall’architetto cefaludese e che divennero il lessico che distinse con nettezza tutte le sue opere.
In quest’opera si riscontra un particolare che caratterizza in modo univoco. Si tratta della rielaborazione di un modello michelangiolesco: quel particolare architettonico che restò unico nel repertorio del Buonarroti, applicato solamente su Porta Pia, con il quale il maestro si fece beffa del papa. Uno stilema, unico ed irripetibile, che Jacopo del Duca evoca nel partito architettonico sul prospetto absidale di San Giovanni di Malta a Messina.
Difatti a caratterizzare la campitura centrale che fa da l’asse di simmetria, una nicchia di ordine maggiore balaustrata, la cui cornice è circondata da una fascia pendente, fronzuta, che evoca molto quella del modello di Porta Pia, e in fondo alla nicchia un tondo, come un bacile. La decorazione è un chiaro stilema che riconduce inequivocabilmente ai linguaggi del manierismo michelangiolesco. Questo motivo ha una forte assonanza linguistica con il singolare modello michelangiolesco.
Messina: archetipo michelangiolesco
Comparando la chiesa di San Giovanni di Malta a Messina a tutto la produzione del discepolo di Michelangelo che in età matura diventa sempre più interprete a pieno titolo del verbo michelangiolesco e dello stile manierista, emerge nettamente che questa architettura non è elemento secondario nel panorama dell’architettura Manierista del ‘500 , notevoli assonanze semantiche con opere come il Palazzo Ducale di Mantova (giulio Romano), Il corridoio degli Uffici (Giorgio Vasari), La loggia del Capitano a Vicenza (Andrea Palladio), Il palazzo Senatorio a Roma ( Michelangelo Buonarroti). Grandi architetti e loro epigoni che hanno caratterizzato questa creativa fase di transito dal Rinascimento al Barocco con capolavori universali.
Ma l’assonanza lessicale più eclatante che arricchisce di ulteriore valore storico, e il già notevole valore artistico e culturale del tempio messinese.
Quella cornice, altro non è altro che la plasticizzazione del pensiero di Michelangelo ….. un frammento della grande storia dell’arte… che finisce anche a Messina.
Carmelo Celona
25.04.2017